lunedì 27 febbraio 2012

Inter, Inter, Inter





Su queste pagine avevo espresso senza mezzi termini grosse perplessità sulle qualità dell'Inter anche all'interno di commenti relativi alle famose sette vittorie di filA (AH, che tempi miseri se ci esaltiamo per un filotto così modesto) e l'unica partita che in realtà mi aveva tratto in inganno facendomi intravedere qualcosa di più di una semplice fila indiana di casualità è stata quella contro il Milan (di gran lunga la più attenta, efficace e ottimista).
Soltanto chi non riesce ad applicare un minimo di oggettività alle proprie analisi sarebbe stato illuso che fortunose vittorie come quelle contro Siena, Genova, Lecce e Cesena potevano contenere al loro interno i germi di una vera rinascita che avrebbe conferito piena autorità alle velleità di rimonta in chiave scudetto.
E allora quali sono le differenze tra quella squadra (fortunata, ma anche solida e vincente) e questa che gioca ed ottiene risultati ben al di sotto di quelli del Cesena ultimo in classifica?

Senza dubbio la chiave sono i giocatori. Nel senso più ampio del termine : quelli che sono in rosa, quelli che sono andati via, quelli che sono arrivati e quelli che non sono mai arrivati.

1) QUELLI CHE SONO IN ROSA : Molti sono stanchi di militare in questa squadra da dove tutti i giocatori che avevano delle possibilità di una carriera altrove sono scappati.
Attualmente l'Inter ha una rosa male assortita : i titolari sono stanchi e le riserve sono troppo incostanti per poter prendere le redini della squadra. Snejder soffre di un nervosismo ed una depressione cronica che avranno fine solo quando sarà autorizzato a fare le valigie, Maicon non prende in considerazione le consegne tattiche dell'allenatore, Cambiasso non ha mai rifiatato, Julio Cesar è sceso di categoria, Zanetti non può essere infinito, Lucio è pericolosamente distratto, Chivu da anni gioca in un ruolo non suo, Stankovic è arrogante ed estorce ruoli da titolari che nessuna squadra di prima fascia gli darebbe, Pazzini è nel posto sbagliato nel momento sbagliato, Zarate cosciente che sarà rispedito al mittente non ha alcuno stimolo ad impegnarsi, Nagatomo non ha capito i meccanismi di marcatura, Faraoni crede ancora di scendere in campo nel campionato primavera.

2) QUELLI CHE SONO ANDATI VIA : Non è tanto la sostanza tecnica ed il peso specifico di cui nemmeno la nazionale riesce a fare a meno che spiegano in modo esauriente l'assenza di Thiago Motta. Ma è il peso del modo in cui è andato via Motta : è scappato. E queste modalità di fuga al pari di quella Eto'o (i soldi sono stati un surplus) hanno pesato inevitabilmente su chi è rimasto e che ha perso in questo modo le già risibili motivazioni di cui erano dotati. Ed è inevitabile che ora sono tutti proiettati al mercato estivo : meglio così.

3) QUELLI CHE SONO ARRIVATI : Chiedete a quel brocco di Marco Branca.

4) QUELLI CHE NON SONO ARRIVATI : Chiedete a quella mezzasega di Marco Branca.

sabato 25 febbraio 2012

Oscar2012 : Le statuette di TalkingInADay PARTE II





Oscar2012 : Le statuette di TalkingInADay PARTE II


MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA, CANDIDATI : Kenneth Branagh - My Week with Marilyn Jonah Hill - L'arte di vincere (Moneyball) Nick Nolte - Warrior
Christopher Plummer - Beginners Max von Sydow - Molto forte, incredibilmente vicino (Extremely Loud and Incredibly Close)

IL MIO VINCITORE : Nick Nolte

CHI VINCERA' DOMANI :  c.Plummer

Pochi dubbi in tal proposito. Per Nick Nolte ho sempre straveduto ma sarà difficile portare via la statuetta ad un grande vecchio come Plummer che difficilmente avrà un'altra opportunità in tempo breve di portarla a casa.


MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE : Alexander Payne, Nat Faxon e Jim Rash - Paradiso amaro (The Descendants)John Logan - Hugo Cabret (Hugo) George Clooney, Grant Heslov e Beau Willimon - Le idi di Marzo (The Ides of March)
Steven Zaillian, Aaron Sorkin e Stan Chervin - L'arte di vincere (Moneyball)
Bridget O’Connor e Peter Straughan - La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy)

IL MIO VINCITORE : La Talpa

CHI VINCERA' DOMANI : Paradiso Amaro

L'intreccio alla base della spy story con protagonista G.Oldman che poggia sul libro omonimo di Le Carrè, è un perfetto susseguirsi di indagini, sospetti e tradimenti cadenzati da toni mai sopra le righe ne eccessivamente didascalici. Abbastanza cupo da incutere timore e discretamente nervoso da mettere ansia : un equilibrio perfetto. Tuttavia la statuetta potrebbe finire anzi certamente finirà) all'acclamato film di Payne che a mio parere merita molto meno della considerazione guadagnata in patria. Ma tant'è.

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE :  Michel Hazanavicius - The Artist
Annie Mumolo e Kristen Wiig - Le amiche della sposa (Bridesmaids)
J.C. Chandor - Margin Call Woody Allen - Midnight in Paris Asghar Farhadi - Una separazione (Jodái-e Náder az Simin)

IL MIO VINCITORE : Una separazione

CHI VINCERA' DOMANI : Midnight in Paris

Il film d'autore di Farhadi è il grande escluso dalle nominations che contano e probabilmente paga la scarsa campagna promozionale ed ancor di più il paese di provenienza (speriamo di no). Ma pur con questi deficit soggettivi, era impossibile mancare di evidenziare i meriti oggettivi di un film sostanzialmente perfetto e che di gran lunga è il migliore tra quelli nominati nella kermesse del 2012. Dovrà forse inchinarsi a Woody Allen (premiazione politica, ma in questo caso l'academy paga la scarsa considerazione data al genio settantenne) che ha il merito unico (il film in se è appena appena sufficiente) di dare vita, voce e facce a degli eroi indimenticati della letteratura americana da Hemingway a Fritzgerald passando per personaggi estremi della pittura come Picasso. Un colpo di genio a mio parere marginale, ma che potrà colpire la sensibilità di giurati con una età media molto alta.

MIGLIOR COLONNA SONORA : John Williams - Le avventure di Tintin - Il segreto dell'Unicorno (The Adventures of Tintin)Ludovic Bource - The Artist
Howard Shore - Hugo Cabret (Hugo) Alberto Iglesias - La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy) John Williams - War Horse

IL MIO VINCITORE : The Artist

CHI VINCERA' DOMANI : The Artist

In un film muto la musica di sottofondo è fondamentale, e qui è usata/sfruttata al meglio.

MIGLIOR MONTAGGIO : Anne-Sophie Bion e Michel Hazanavicius - The Artist
Kirk Baxter e Angus Wall - Millennium - Uomini che odiano le donne (The Girl with the Dragon Tattoo) Thelma Schoonmaker - Hugo Cabret (Hugo)
Christopher Tellefsen - L'arte di vincere (Moneyball) Kevin Tent - Paradiso amaro (The Descendants)

IL MIO VINCITORE : Hugo Cabret

CHI VINCERA' DOMANI : The artist 65% , Millenium 35%

Oscar2012 : Le statuette di TalkingInADay (PARTE I)



Oscar2012 : Le statuette di TalkingInADay PARTE I

E' stato già detto a più riprese che il 2012 è stato un anno di ottima vendemmia, cinematograficamente parlando.
Tuttavia la kermesse losangeliana non riesce a sfuggire alla tentazione tipica dei più importanti premi di settore : l'autocelebrazione.
Ma va da se che in un anno così abbondantemente generoso di buone pellicole è stato impossibile per l'academy non accogliere all'interno delle sue nomination una cospicua fetta dei film più validi dell'ultima annata.
Essendo comunque un premio che ha in Hollywood e nelle superpotenze produttive ed attoriali i capisaldi della filosofia che guida le sue premiazioni, l'impronta delle nomination (come ogni anno) non mostra di avere quella buona dose di coraggio utile a dare più credibilità ed universalità alla cerimonia.

Mi riferisco ovviamente alle gravi esclusioni, le ennesime, di film che hanno segnato indelebilmente il 2011 ma che hanno la pecca di non godere della spinta dei poteri forti dell'industria made in Usa, la quale ha senz'altro uno standard di competizione economico/politica (mi riferisco alle campagne promozionali per gli Oscar) troppo elevato per poter garantire a tanti produzioni minori la visibilità che meriterebbero nella notte più importante dell'industria cinematografica.
I primi nomi che mi vengono in mente sono quelli Von Trier, Winding Refn, McQueen e alla urticante ghettizzazione all'interno della categoria di miglior film straniero e miglior sceneggiatura all'immenso "Una Separazione" che, se gli Oscar avessero un minimo di obiettività, poteva senz'alcun problema essere candidato a miglior film e regia. Ma del resto la differenza sarebbe stata troppo abissale con i concorrenti per poter evitare di premiarlo a dovere. E' qualcosa di assolutamente meschino che il filmn iraniano sia l'unico candidato forte alla sceneggiatura a non rientrare anche nella lista di miglior film e regia.
O magari "Drive". Ho letto in giro che sarebbe considerato troppo violento dall'academy. Mmmmm, se non ricordo male "Non è un paese per vecchi" (best movie & director di qualche anno fà) non era esattamente un film per famiglie.
Per non parlare di Kirsten Dunst che, il premio a Cannes testimonia, non ha avuto eguali nell'anno appena passato : non figura nemmeno tra i candidati.

Avevo promesso giorni fa di aver visto la maggior parte dei film candidati per poter dare un'idea a chi segue questo blog di chi meritasse davvero le statuette e a chi, con un pronostico, esse andranno realmente a finire.

E così è stato. Tranne "War Horse" (messo li per far numero, credo) e "The Help" (che ha probabilità di vincere solo nella categoria delle attrici) ho visto e recensito tutti i film (esclusi pochi per motivi di tempo e spazio che troveranno in seguito come "Uomini che odiano le donne") che concorreranno nella categoria miglior film, regia, attore, attore non protagonista, sceneggiatura originale e non originale, miglior colonna sonora, miglior montaggio.
Purtroppo nella categoria delle attrici non posso dar giudizi perchè finora ho solo visto "Le amiche della sposa" (pessimo, concorre M.McCarthy) e la Bejo di "The artist".
Quindi mi astengo.

MIGLIOR FILM , CANDIDATI : The Artist, Paradiso amaro, Hugo Cabret,
Midnight in Paris, Molto forte, incredibilmente vicino, The Help, L'arte di vincere (Moneyball), War Horse, The Tree of Life,

IL MIO VINCITORE : The Artist

CHI VINCERA' DOMANI : The Artist

E' il film fenomeno dell'anno, un bianco e nero muto che ha scombussolato i critici e il pubblico di mezzo mondo, con una sottile ironia, una storia d'amore avvincente ed un protagonista mai così credibile. Il più vicino concorrente per i miei gusti è "Hugo Cabret", seguito da "The tree of life" ma non sono sorretti da un contorno tanto convincente quanto l'universo del film francese. I giurati dell'academy non faranno scherzi.

MIGLIOR REGIA, CANDIDATI : Michel Hazanavicius - The Artist, Alexander Payne - Paradiso amaro (The Descendants), Martin Scorsese - Hugo Cabret (Hugo)
Woody Allen - Midnight in Paris, Terrence Malick - The Tree of Life

IL MIO VINCITORE : Terrence Malick

CHI VINCERA' DOMANI : Michel Hazanavicius

Il lavoro di Malick è stato semplicemente sublime. Ha inglobato in un solo film filosofia, dramma, formazione. Ed il linguaggio registico è variato con efficacia da un registro all'altro con una perizia assoluta che si concreta in inquadrature mai banali e a metà tra il reale e l'onirico, sorretto da una fotografia magnifica. Audace e ferreo nelle sue scelte, difficilmente vincerà perchè il suo è un film troppo di nicchia con l'handicap (per me una mossa fantastica) di relegare le sue star quasi a comparse. Verrà senza dubbio premiato Hazanavicius, anche per la famosa regola mia scritta che vuole vedere andare a braccetto i due premi principali.

MIGLIOR ATTORE : Demián Bichir - A Better Life , George Clooney - Paradiso amaro (The Descendants), Jean Dujardin - The Artist, Gary Oldman - La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy), Brad Pitt - L'arte di vincere (Moneyball)

IL MIO VINCITORE : Brad Pitt

CHI VINCERA' DOMANI : Dujardin 85% , Clooney 15%

Brad Pitt in modo silenzioso, preciso e convinto, ha costruito un personaggio convincente come pochi altri nella sua carriera e lo fa in un film sportivo biografico che ha valori arstistici assolutamente rispettabili per un prodotto di genere. Un allenatore convinto di se stesso e solitario impersonato da un attore che senza eccedere in enfasi e pose da star, mostra il lato più sporco del mestiere. Tuttavia l'academy premierà Dujardin, che salta, balla, canta, piange e ride ma che a tratti ho trovato leggermente plastico, quasi fosse in un teatro di posa. Clooney potrebbe fargli lo sgambetto, ma la vedo difficile e comunque a me non è piaciuto perchè è il film ad essere molto al di sotto degli altri candidati.


venerdì 24 febbraio 2012

Oscar 2012 - "Hugo Cabret" (fantasy, avventura, dramma, di M. Scorsese)



TRAMA : Hugo Cabret è un ragazzino orfano che vive da solo nei meandri di una stazione ferroviaria parigina negli anni Trenta. Dopo essersi imbattuto in un macchinario da ricostruire e in una ragazza eccentrica, il ragazzino entrerà in contatto con un anziano e misterioso gestore di un negozio di giocattoli, finendo risucchiato in una magica e misteriosa avventura. Hugo Cabret racconta l'avventura di un ragazzo pieno di inventiva, che mentre cerca la chiave per far luce su un segreto legato alla vita di suo padre, finisce per migliorare quella delle persone che lo circondano, trovando inoltre un luogo che può chiamare finalmente casa

VALUTAZIONE : 7,5

Per me è decisamente buon segno quando mi viene difficile, a fronte della meraviglia suscitata da una pellicola, definire bene dentro quale genere essa agisce. D'altronde la meraviglia di "Hugo Cabret" non è circoscritta
alla sollecitazione di precise sfere percettive : commozione, divertimento o sorpresa. Il film convince sotto ogni punto di vista. Convince come romanzo di formazione, come parabola discendente della cattiveria, come manifesto dell'amore smisurato di Martin Scorsese per il cinema, come pura e vertiginosa avventura.
Onestamente mi sono anche commosso, specialmente nella seconda parte. Anche perchè il giovanissimo attore che interpreta l'impavido Hugo tradisce una credibilità e una pulsante convinzione che è davvero miracolosa per un attore tanto in erba.

A livello di regia è senza dubbio il film più audace di Scorsese dai tempi di "Al di la della vita" (che tuttavia aveva ambientazioni e toni decisamente più cupi e adulti) ed il regista americano forse libero alla sua età di poter dire quello che vuole come e quanto più gli aggrada, si lancia in primi piani, tagli sequenza e panoramiche davvero impeccabili, senza dimenticare la direzione degli attori e il cadenzario deglio eventi che sono totalmente funzionali all'obiettivo.
Non ci voglio certo io a dire che questo è un film che vuole tramsettere bontà, amore per la vita e la libertà e spingere a credere ogni altra cosa nella magia dell'arte cinematografica. Va da se che gli sviluppi siano abbastanza prevedibili e giocati su un piano temporale di facile decifrazione, anche se i flashback (da sempre grande punto di forza di Scorsese) sono una carta giocata con più intelligenza e raffinatezza del solito.
Probabilmente il caro vecchio Marty ha voluto con questo film in un certo senso liberarsi di tutti gli sassolini infastidivano le sue scarpe da regista, lasciando la creatività e la predilezione per i temi della giovinezza finalmente liberi di esprimersi dopo che le ultime prove erano state fortemente condizionate da soggetti a mio parere troppo opprimenti. "Hugo Cabret", insomma, rende felici perchè è stato girato da qualcuno che da proprio l'impressione di essere davvero contento di portarlo sullo schermo.
Ciò a testimonianza del fatto che più di soggetti ambiziosi e colti, Scorsese ha bisogno di grandi personaggi e di storie ad ampio raggio.

martedì 21 febbraio 2012

Oscar 2012 - Paradiso Amaro (Dramma, di A.Payne)


TRAMA : Paradiso amaro vede protagonista Matt King, un marito e padre da sempre indifferente e distante dalla famiglia. Ma quando la moglie rimane vittima di un incidente in barca nel mare di Waikiki è costretto a riavvicinarsi alle due figlie: e quindi a riconsiderare il suo passato e valutare un nuovo futuro. Mentre i loro rapporti si ricompatteranno, Matt è anche alle prese con la difficile decisione legata alla vendita di un terreno di famiglia, richiesto dalle elite delle Hawaii ma anche da un gruppo di missionari.

VALUTAZIONE : 5

Parto dal presupposto che non ritengo Alexander Payne così imprescindibile nel cinema moderno. Anzi se proprio devo dirla tutta, il maggior talento lo esprime nelle sceneggiature anzichè nella direzione d'attori e che comunque al netto dell'enorme Jack Nicholson di "A proposito di Schmidt" i suoi film non hanno poi tanta materia al di là di un compiaciuta sofisticazione che talvolta ha del filosofico (posticcio).
Non c'è mai stata, insomma, quella scintilla che abbia fatto pensare di assistere ad uno spettacolo cinematografico partorito da una mente creativa superiore seppur non esente da difetti (come accade, primo esempio che mi viene in mente, nei film di Wes Anderson tutt'altro che perfetti ma frizzanti e sempre ricchi di trovate originali) piuttosto che ad una furba messinscena messa a punto nel dettaglio per colpire determinate sfere emotive.

E di certo non aiuta a liberarmi dai preconcetti il fatto di dover rilevare che il regista ha scelto di ricorrere ad uno degli espedienti più odiosi e insulsi che si possano usare nel cinema : la voce narrante, fuori campo.
Mezzo meschino adoperato ad intervalli irregolari e a libero uso e consumo del regista, senza alcuna logica o funzionalità che modifichino o rendino migliori il dipanarsi degli eventi.
Ma passiamoci sopra, dopotutto non è così presente e dopo un pò ce ne potremmo anche dimenticare.
Il problema grosso invece è che il cavallo di troia usato da Payne per scardinare la sensibilità degli spettatori e ammiccare ai critici, ovvero George Clooney, si rivela il vero punto debole del film. Continuamente indeciso sul tono, attegiamento e mimica da adottare che sono equamente divisi tra dramma, commedia ed esistenzialismo, il buon George ci mette del suo per rendere credibile una storia che vive di singoli episodi ed ampie fotografie da cartolina, dove il percorso interiore dei protagonisti segue i binari più prevedibili che si possano scegliere e vede gli stessi alle prese con una maturazione personale problematica solo in superficie e che si risolve senza grossi traumi prima della fine dei titoli di coda.

lunedì 20 febbraio 2012

Morte di un festival (era ora).

L'uomo che più di ogni canzone ha catalizzato con la consueta furbizia tutte le attenzioni

Non è il festival di Sanremo in sè. Ma è la metafora che si cela dietro la manifestazione del 2012 a dover far riflettere. La metafora di un paese mediocre, tremendamente provinciale, aggrappato ai soliti mezzucci
promozionali. Un paese la cui volgarità, sciatteria, buonismo di facciata e mercificazione della donna-oggetto hanno trovato il loro climax definitivo dentro il contenitore ormai definitivamente tramontato del festival.

Un festival dove le canzoni e gli artisti sono stati un banale diversivo all'interno di una sequenza imbarazzante di fantomatiche esibizioni di ospiti per nulla originali ed interessanti. Ospiti che hanno trovato terreno fertile per amplificare il nulla del loro contributo (basato per lo più su piatte divagazioni sessiste, svogliate performance pseudomusicali e improvvisazioni senza talento) in uno show male organizzato, dove la divisione dei compiti e dei tempi di tipici dello spettacolo sono stati continuamente bistrattati da protagonisti che non credevano minimamente in ciò che facevano. E se a ciò aggiungete delle canzoni che sono state ancora peggio dello standard tipico di un festival populista e commerciale come quello di Sanremo, allora converrete che la miseria artistica nella quale la manifestazione canora è definitivamente caduta è uno status che non prevede
alcuna via d'uscita che non siano la cancellazione o una dura, durissima, ristrutturazione della gara, della modalità di proposizione dello spettacolo e dei personaggi che devono farvi parte. Una caduta di stile irreversibile di una creatura che si è rivolta contro i suoi stessi creatori e che simbolicamente segue a ruota la decaduta di un altro simbolo dell'imbarazzo di milioni di italiani scomparso dalla scena qualche mese fa. Ciò deve produrre assolutamente delle forti prese di posizioni per tutelare chi segue questo festival e si sente continuamente preso in giro dal potere e dalla visibilità attribuita a persone che non hanno alcuno spessore.

Il talento espresso alla maniera di una donna che solo da noi può ricevere  attestati di stima

Non dimentichiamo che si tratta di un servizio pubblico. Che la Rai è fondamentalmente pagata da ogni possessore di televisione affinchè questa lo trattenga con un'offerta televisiva il più possibile condivisa dalla maggior parte degli italiani che non chiedono altro se non un pò di buon gusto, imparzialità e sana spensieratezza (magari abbinandoci la qualità di talenti effettivi). Ciò non accade. Perchè il festival è stato deturpato dalla sua universale credibilità di simbolo nazionale da uomini e donne che che l'hanno assoggettato ai propri interessi, usandolo senza tanti mezzi termini e discrezione come vetrina per mettere in mostra con assurda strafottenza e arroganza il proprio corpo o il proprio pensiero, senza che questi abbiano le minime credenzialità per farsi portavoce di un interesse comune.
Persone così maledettamente qualunquiste, vuote e banali che non meritano nemmeno di essere nominate.

domenica 19 febbraio 2012

dischi - Cloud Nothings, "Attack On Memory" (2012)



RICAPITOLANDO : Terzo disco per i semisconosciuti ragazzoni di Cleveland che tentano di guadagnarsi un posto di rilievo nell'inflazionato universo dell'indie-rock.

GENERE E VOTO : alt-rock, post-punk .  6/10



E' difficile dire che sia una casualità riscontrare che ogni disco su cui mette le mani Steve Albini risulti QUANTOMENO ben registrato. Non mi va di lanciarmi in un sermone celentanesco sulle brutalità della 
compressione dei file mp3, di quanto essi siano lontanissimi dalla qualità e dalle mille sfaccettature di un cd o meglio ancora di un vinile (qui chiediamo davvero troppo..). Ma allo stesso tempo credo sia doveroso spendere due parole sulla straordinaria resa sonora che un album come "Attack on Memory" offre se ascoltato a volume alto da un supporto audio originale. E a chi va il merito di tali rinfrancanti ascolti se non alla persona (ingegnere del suono, produttore e musicista) che sovrintende alle registrazioni ?

Un vero specchio dei tempi è il fatto che un uomo come Albini offra la sua sapienza ed ineguagliabile conoscenza dei mille segreti del rock ad un'opera tutt'altro che memorabile come quella dei Cloud Nothings. Ma del resto in giro non mi sembra di percepire che le vie alternative del rock conducano a chissà quali gloriosi orizzonti, anzi. Come non voler dare torto a chi, non senza una certa riluttanza, ha segnato la data di fine del rock sul proprio nostalgico diario musicale in corrispondenza dell'anno 1991 ? 

Già, i Cloud Nothings. Non sono certamente i Fugazi, nè i Jesus Lizard, men che meno gli Slint. E ad Albini tocca fare di necessità virtù, cercando di estrapolare il meglio dagli spartiti comunque passabili della giovane band americana. Tuttavia è abbastanza triste osservare come sia proprio il timbro del producer quello che più di ogni altra cosa incide sui passaggi migliori del disco, che quando invece deve per forza di cose far leva unicamente sul songwriting mostra pericolosi deficit d'inventiva che nel migliore dei casi li rende similari ai Queens Of the Stone Age più dilatati. E nel migliore dei casi ? Beh il timbro vocale di Dylan riporta alla memoria, nei momenti più concitati, un Kurt Cobain poco in pace con se stesso e gli sfoghi strumentali che hanno un picco sublime in "Wasted days" risultano molto avvolgenti nella loro distorsione armonica che colpisce e rilancia senza sosta.


mercoledì 15 febbraio 2012

Oscar 2012 - Una separazione (Dramma, A.Farhadi, 2011)


Trama : Nader e Simin hanno ottenuto il visto per lasciare l'Iran ma Nader si rifiuta di partire e abbandonare il padre affetto da Alzheimer. Simin intende chiedere il divorzio per partire lo stesso con la figlia Termeh e, nel frattempo, torna a vivere da sua madre. Nader deve assumere una giovane donna, Razieh, che possa prendersi cura del padre mentre lui lavora, ma non sa che la donna, molto religiosa, non solo è incinta ma sta anche lavorando senza il permesso del marito. Ben presto Nader si troverà coinvolto in una rete di bugie, manipolazioni e confronti, mentre la sua separazione va avanti e sua figlia deve scegliere da che parte stare e quale futuro avere...

VALUTAZIONE : 8,5

Difficile dire cosa riesca a colpire più di ogni altra cosa in questo film, dove il mix miracolosamente equilibrato di più elementi lascia in tantissimi momenti a bocca aperta.
Il realismo ? La straordinaria attualità che non scade mai nel documentarismo ? La mancanza di spettacolarizzazione e l'abile dribbling di ogni luogo comune ? Gli attori ? La perizia con la quale il regista espone i fatti, senza favorire nessuna delle parti in causa, lasciando quindi l'onere dello schieramento esclusivamente in mano allo spettatore ? Il magnetismo costante esercitato dalla trama ?
L'angolazione particolare dalla quale viene osservata la religione e la complessa ragnatela di rapporti umani che essa condiziona ?

Già i primissimi minuti, dominati dallo straordinario battibecco tra i due protagonisti con il giudice che sostituito da un'inquadratura in prima persona sovritendende alla lite, lasciavano presagire qualcosa di importante. Più dramma da camera che indagine sociale, "Una separazione" entra in una casa qualunque dell'Iran e ne segue la progressiva deriva dove i singoli elementi agiscono spinti da un egoistico istinto e solo apparentemente per una comunione d'intenti, dove l'amor proprio, appoggiato dalla fede, è l'alito supremo dell'esistenza.

Sinceramente il mio rammarico è di essermi convinto a vederlo soltanto adesso in occasione degli Oscar, perchè altrimenti sarebbe finito almeno nella top 3. L'ho un pò snobbato, nonostante le grandi lodi che l'avevano (a ragione) dipinto come uno dei migliori film dell'anno. Le  ambientazioni orientali, lo stile di vita di quella gente e la realtà che essi si ritrovano ad affrontare non mi ha mai affascinato, in quanto molto spesso il cinema in tali ambiti assume lo sfondo della denuncia sociale. Invece "Una separazione" è cinema allo stato puro, dove l'ambientazione è estremamente funzionale alla vicenda e non costituisce mai un limite o una sorgente di stucchevolezza. Le uniche note leggermente stonate sono in alcuni passaggi (soprattutto uno alla fine del film) che appaiono troncati con poca naturalezza, anche se forse il motivo risiede nel non voler accentuare troppo i toni del dramma già di per se ben presenti.

La matrice autoriale della pellicola permette di realizzare un affresco veritiero, pulsante e "violento" delle relazioni tra i personaggi, dove la conquista è prevaricazione specialmente in ambienti sociali che soffrono più di altre delle differenze tra classi.
Ma questa non è un'esclusiva dell'Iran, in queste cose ogni mondo è paese.

martedì 14 febbraio 2012

Leggendo , Stephen King "22/11/63"



L'ultimo libro di Stephen King ha monopolizzato la mia classica mezz'ora pre-sonno-notturno dell'ultimo mese.
Non che a leggere le quasi 800 pagine del libro ci voglia tutto questo tempo. E' solo che per me i romanzi e la notte sono imprescindibili gli uni dall'altra. Di fatto la buona lena con cui scorrono azioni, personaggi e tempi (presenti, passati e futuri) all'interno di questa avventura, potrebbero anche costare una sola settimana ad un lettore che sparpaglia la sua passione in diversi momenti del giorno.

Sicuramente conoscerete la trama che, tuttavia, per dovere di cronaca vi ripropongo in maniero molto spicciola.

Un professore che vive nel Maine di nome Jake Epping tramite un conoscente (Al, moribondo gestore di una tavola calda) viene messo al corrente dell'esistenza di una "buca del coniglio", un varco temporale che permette di viaggiare indietro nel tempo. La particolarità di questo viaggio è che ogni qualvolta venga effettuato, il salto all'indietro è  sempre indirizzato ad un giorno preciso del 1958. Nel passato il tempo scorre normalmente, si invecchia, si lavora, si vive. Quando però si fa il viaggio contrario tramite la stessa buca (cioè dal passato al presente), nella realtà del 2011 saranno passati sempre due minuti. Cioè ipotizzando che Jake fosse entrato nel varco alle 20.45 nel 2011 scegliendo di vivere nel passato dal 1958 al 1970, sarebbe tornato nel 2011 alle 20.47 ma ovviamente invecchiato fisicamente di dodici anni. Questo esempio numerico l'ho ideato io per rendere l'idea del meccanismo. Quindi il tempo si potrebbe dire che scorra solo nel passato e tutte le azioni compiute nel tempo remoto avranno poi ripercussione sulla storia del presente. Cioè se Jake saltando nel tempo il 4 giugno del 1961 avesse fatto scoppiare una bomba in un palazzo (sempre esempio mio) e subito dopo fosse tornato al 2011, scandagliando gli archivi avrebbe trovato la cronaca del suo fatto compiuto nel passato. Chiaro ? Spero di si.
Bene. La questione è : Come si può approfittare di questo salto nel tempo per migliorare il mondo (la megalomania americana) ? Secondo Al, l'unica cosa da fare, la più importante, sarebbe quella di evitare l'attentato a John Fitzgerald Kennedy, avvenuto appunto il 22/11/63. Così il Vietnam, le tensioni razziali, eccetera sarebbero state evitate.
Durante i suoi viaggi nel tempo e prima di ammalarsi, Al aveva raccolto tutto il materiale necessario a rintracciare ed uccidere l'assassino del presidente, ovviamente prima che l'assassino porti a termine il suo macabro piano.
La missione viene quindi affidata a Jake che sarà cosciente di dover attendere che la vita dell'assassino faccia il suo corso prima di poter incrociare la sua. Ovviamente sapere molte cose in anticipo non potrà evitare a Jake di ascoltare la pericolosa "musica del caso".

Non vado oltre. Le premesse sono queste e credo siano gustose.



Venendo ad un commento sulle qualità del libro, senza dubbio lo spunto alla base della stesura è molto originale. Certamente il tema del viaggio nel tempo è uno tra i più classici della letteratura di genere, ma King aggiunge appena un pizzico di inquietudine e tracigit che si incarnano nelle avversità di un passato che quasi come una entità reale e pulsante farà di tutto per non essere cambiato.
King, evitando accenni ed atmosfere di pura fantascienza relega il salto del tempo ad un semplice salire e scendere di scalini immaginari.
Quindi nessuna funambolica macchina del tempo o distorsione fisica. Come se voi in casa vostra attraversando una porta invece di ritrovarvi in cucina foste catapultati nel medioevo.

parlerò con una certa autorità dell'autore perchè lo seguo sin dai tempi delle medie (più di quindici anni) e in quest'arco di tempo ho letto almeno l'80% dei suoi romanzi e riesco bene a distinguere uno arruffato da uno scritto con le idee chiare. E 22/11/63 è spostato nettamente nel secondo gruppo.

In molti considerano che il vecchio King se ne sia andato con l'incidente che lo coinvolse nel 1999 e che sostanzialmente la sua produzione più affilata ed efficace si sia conclusa con "Dolores claiborne".
Non hanno tutti i torti, già da "Desperation" (1996) la sua  diabolica inventiva aveva subìto un calo evidente (con la miracolosa eccezione di "Mucchio d'ossa", 1998) che ha condotto i suoi libri verso una narrativa "moderata" dove la componente horror-malata-psicotica, nonchè il gusto macabro per andare a scovare dapprima le tracce e poi osservare l'esplosione della cattiveria negli animi e nei luoghi più impensabili, che aveva contraddistinto la fortuna degli anni verdi è ormai andata perduta.
Il King moderno ha scelto narrazioni più ordinarie e metabolizzabili da consumatori meno esigenti rispetto ai fans più incalliti ("Cell" parlerà anche di zombie ma è molto più pauroso "La strada" di McCarthy dove agiscono uomini vivi e pericolosi), spesso dilatando oltre il buon senso delle storie che sin dalle fondamenta erano piuttosto banali ("Duma Key" è il peggiore esempio possibile, "La storia di Lisey" affascina ed è molto suggestivo, ma la rindondanza delle situazioni e delle tematiche lo rendono forse un pò piatto).

"22/11/63" condensa questi sforzi che appaiono tutt'altro che naturali (spesso e volentieri gli intercalare classici di king, vedi JIMLA ! oppure l'uomo delle tessere, sembrano messi lì per ricordare che il maestro dell'horror è sempre vivo anche se in letargo) all'interno di un contenitore avvincente anche se a mio parere, a livello di singoli personaggi, la comunità descritta nel precedente "The dome" era molto meglio assortita.
Ed è forse nel personaggio di Jake che si condensano le perplessità (comunque moderate e in minoranza rispetto agli entusiasmi) sul libro ed in generale di tutta la produzione recente del Re. Un personaggio che, nonostante viva un'epopea ricca di pericoli, colpi di scena e situazioni estreme, sembra più che altro un veicolo per la storia e non sia in grado di dominarla con il suo carisma. La sua caratterizzazione è standardizzata e le sue azioni, pensieri e risoluzioni appaiono poco approfondite, rispondendo alle esigenze del meccanismo globale anche quando sono poco ortodosse. E non aiuta il rifiuto da parte dell'autore di provare a scavare nel passato, che magari scegliendo di renderlo oscuro avrebbe efficacemente giustificato la scelta fatta dal destino.

Si potrebbe controbattere che alla fine stiamo parlando di un uomo normalissimo, senza vizi, senza paranoie, senza incubi, senza lacerazioni, senza traumi, che non siano quelli conseguenti alla sua scelta di tuffarsi nel tempo. Questo è conseguenza della scelta di lavorare più sulla catena di eventi che non sui conflitti dei protagonisti, aspetti che sono accennati e risoluti in fretta per impedire lo sfilacciarsi dell'ossatura principale.
Il romanzo in sostanza funziona per questo motivo, cioè per una efficace oliazione dell'avvincente meccanismo insito nella storia. Tuttavia la sequela principale (a causa del dilungarsi di un paio di fili secondari nella prima parte  risultanti alla base di almeno 200 pagine superflue che potrebbero essere state invece opportune se il tono del romanzo fosse stato più oscuro) soffre di quella sindrome da "rullo compressore" (così la chiamo) colpevole di una macinazione vorace e frenetica di fatti e persone che assorbe e travolge i momenti topici finendo per metterli semplicemente in fila indiana - sprecando risorse creative in un eccessivo didascalismo -  anzichè zigzagare per fluidificarne l'importanza.

Cosa differenzia, nella fattispecie in Stephen King, un romanzo avvincente e che "funziona" da uno che per tanto tempo riesce a monopolizzare pensieri e congetture di un lettore e che in definitiva definiremmo Magnifico? L'atmosfera ed il senso d'inquietudine.

Non che 22/11/63 non offra spunti per chiedersi il perchè di alcuni eventi : come (se) Jake avesse potuto agire diversamente. O che non imponga una discreta dose di suspence, anche in maniera episodica. Al contrario ad esempio di quanto accade in "La storia di Lisey" (prendo ad esempio un libro recente perchè il divario con quelli più vecchi è così grande da non giustificare un dibattito) dove accade molto meno a livello di episodi pratici, ma dove il tasso di suspence in termini di minaccia costante è quasi sempre alto. Ma è probabilmente la ricchezza e l'approfondimento della questione Kennedy a rendere aride le indispensabili (a mio parere) fonti di dubbio di un lettore. La chiara definizione dei contorni e dei contenuti ascrivibili nella tabella dei fatti, è un elemento che toglie una marcia al processo di elaborazione del lettore. Mentre il deficit a livello di atmosfera è più volta palpabile. Mi riferisco al passato, caratterizzato solo come una versione un pò meno tecnologica del presente. Dove, ad esempio, ci sarebbe potuto essere spazio per qualche episodio forte per descrivere con maggiore durezza le pesanti discriminazioni razziali.

La volontà di scrivere un libro suggestivo con un potenziale ambito di ampio consenso e con un tema delicato, è un obiettivo facilmente alla portata di uno scrittore talentuoso come King che, insomma, sacrifica ancora una volta i tratti distintivi del proprio universo letterario (almeno di quell'universo più apprezzato) in nome della"grande causa" che risiede nell'universalità tipica di una rombante avventura di interesse trasversale.

A sostegno di questa "causa" ci sono scelte stilistiche molto chiare.

L'impostazione della narrazione come una sorta di "diario postumo" scritto in prima persona dal protagonista in un momento chiaramente successivo agli avvenimenti che egli vive, infonde al racconto una grande lucidità nella disposizione degli elementi sia decorativi che sostanziali in modo da fornire al lettore un quadro pressocchè inalterato di quanto accaduto dove non c'è spazio per flashback, divagazioni oniriche o spin-off concentrati su altri personaggi condizionati da fatti controversi (l'iniziale puntata nella città di Derry è un esempio di quanto si poteva ricavare lavorando di più in tale direzione).
Eppure King di frecce al suo arco ne aveva diverse, da questo punto di vista.
Si pensi soprattutto alla figura di Lee Oswald  e delle persone a lui legate : la loro ovvia importanza è relegata alla sbobinatura di alcuni dialoghi domestici e poco altro. O alla figura - tipica del King più maligno - de "l'uomo con la tessera gialla" (anch'essa presentata subito nel libro) che troverà spazio e gloria forse soltanto quando l'autore si è accorto di averne ignorato il ruolo (e quando se ne occupa, arrivano pagine da pelle d'oca).

Quindi la scelta stilistica di affidare alla voce diretta di Jake la narrazione degli eventi (era anche accaduto in "Mucchio d'ossa" di trovarsi di fronte a una Prima Persona, ma era l'atmosfera del racconto che grondando terrore dalla prima all'ultima pagina condizionava il modo e lo spessore di raccontare del protagonista) che soprattutto nella seconda metà del lavoro assume le sfumature di una cronaca senza chissà quali trovate stilistiche raffinate o slanci deflagranti (qui non posso dir nulla su alcune eccezioni che risollevano in parte la qualità), condiziona l'andamento del libro che sì convince per il tessuto di fondo e la scintilla iniziale che ne ha oleato e condizionato i meccanismi, ma lascia un pò perplessi per la stesura, la scrittura e lo sviluppo che ha molti caratteri di quell'ordinarietà da mestierante che finisce per corrompere quasi tutti gli scrittori di bestseller (ammesso che qualcuno abbia avuto un passato di più alto valore).
Come se King (del resto accade da tanti anni) sia stato più attento a non ferire o urtare la sensibilità del suo ampio bacino d'utenza piuttosto che affondare i colpi necessari quando ne aveva l'opportunità attraverso un ricorso più massiccio alle tinte fosche e "malate" che ne hanno reso immortale l'opera. Cioè anche quando è il momento di presentare o rendere l'idea dell'operato di un personaggio che è palesemente disturbato dal punto di vista mentale, King sceglie di tratteggiarne i caratteri essenziali senza scavare eccessivamente nella psiche del soggetto perchè ciò comporterebbe lo sconfinare in quell'aspetto psicotico e deviato della natura umana che ha fatto la fortuna dei suoi romanzi più risoluti e che a quanto pare oggi non sono più di moda.

Ed è senz'altro interessante notare come lui, forse cosciente di questa metamorfosi che ha colpito il suo stile e le sue storie (sarà l'età ? sarà la bontà di avere dei nipotini a cui badare ? pressioni della sua casa editrice ? un editor potente ? addirittura un ghost writer, come si ipotizza da più parti ?) qui e la puntelli la narrazione con dei colpettini estremi appena abbozzati evitando il cut come nei film censurati, quasi a voler ricordare come detto qualche riga più su che il vero Re è sempre il sovrintendente supremo alle opere di quello che è un affermato produttore di bestseller e non è detto che prima o poi perda le staffe e torni a dettare le sue regole.

"22/11/63" è, dunque, un affidabile viaggio nel tempo.
Assistito da una scrittura molto pulita e da una importante quantità di avvenimenti disegnati da un impianto narrativo estremamente semplificato, riesce a tenere in costante punta di piedi l'attenzione del lettore, anche grazie al ricorso (costante) all'anticipazione : ovvero quell'espediente usato dal narratore per mettere in pre-allarme il lettore su qualcosa che da li a poco accadrà. E ci riesce.

L'altra faccia della medaglia è la mancanza di profondità, la non eccellente qualità dei dialoghi (spesso molto brevi e formali) e quella costante sensazione di freno a mano tirato che si manifesta nella palese linearità della trama.
Tuttavia va riconosciuto a Stephen King di non aver perso con gli anni la capacità ad ogni nuovo libro di esplorare universi ed aspetti della realtà comunque differenti, analizzando ed osservando microcosmi sempre eterogenei, senza fossilizzarsi su stereotipi e filoni abusati già da se e da altri.
Certo, i personaggi dei suoi romanzi sono uomini comuni (quasi sempre sono scrittori, insegnanti o artisti) ma le situazioni che pone di fronte a loro, variano con soddisfacente celerità nelle ampie sfere sia dell'ordinario che dello straordinario, sfere destinate, comunque, a confondersi. Talvolta le idee sono fulminanti, talvolta sono timide. Ma nessuno, del resto, conosce la formula del romanzo perfetto.

Non è leale, in ultima analisi, aspettarsi che King scriva ancora come negli anni 70 e 80 anche perchè, come lui ha reso brillantemente noto nella sua autobiografia di scrittore "On writing" (breve, concisa, ironica e sincera. RECUPERATELA), molte delle sue opere sono state concepite in situazioni personali ed ambientali molto particolari dove la precarietà economica che lo costringeva a vivere anche in una roulotte e l'abuso costante di alcol-farmaci-droghe, pesavano molto nell'economia delle sue idee. Magari la ferocia di alcuni suoi celebri personaggi e/o entità, era resa in modo così vivido e pulsante proprio in risposta all'esigenza di sfogare su pagina le delusioni e le sofferenze derivate dalla sua condizione di uomo.

Oggi il Re ha senz'altro un'età (e, non facciamo gli ipocriti,  anche un conto in banca) dove l'urgenza artistica  e il metodo scrittorio che da essa deriva, hanno assunto le sembianze di un caminetto illuminato da un fuoco leggero ma costante, anzichè quelle di un falò ardente che lancia lingue di fuoco ampie come fulmini.
Se viene concesso a grandi rock band del passato come Rolling Stones  o quelle che stanno per diventare del passato come gli U2, di continuare a proporsi al pubblico con materiale inedito palesemente privo dell'elettricità e dell'inventiva tipica degli esordi non si deve gridare allo scandalo se uno scrittore con alle spalle decine e decine di libri di grande successo scelga nella seconda (o forse terza?) fase della sua carriera di approcciarsi a storie dai contorni più levigati, meno spigolose e più politically correct che in passato.
In parole povere, anche gli artisti invecchiano, maturano, fanno delle scelte. E si deve scegliere se rispettarle o vivere nel ricordo di quanto è stato.
Del resto non c'è nessuna legge che obbliga una persona a pagare quasi 25 euro per il nuovo libro di King. Anche se, a pensarci bene, forse sarebbe una delle poche tasse (magari l'unica) in grado di impoverire e allo stesso tempo arricchire il contribuente.
Io, questa tassa, ho scelto di pagarla.

giovedì 9 febbraio 2012

Amici miei..






La mancanza di regolarità nei post che senz'altro avrete notato negli ultimi giorni, non è causata - come forse qualcuno avrà pensato - da una mia fuga in qualche paese dove non c'è estradizione per scappare alle grinfie di uno dei tanti soggetti di cui non tesso le lodi su questo blog, ma è dovuta alle avverse (per usare un eufemismo) condizioni atmosferiche che hanno messo in ginocchio giusto quel preciso punto di raccolta dati telefonici/internet (mi hanno detto vicino Napoli) che consente al sottoscritto di collegarsi al web e di alzare la cornetta per sentire la voce altrui.

Se avete lamentele in merito, rivolgetevi a Tiscali, darete man forte al vostro affezionato.
Se invece lamentate che la colpa possa essere mia perchè sono uno dei pochi che ancora è aggrappato unicamente alla rete fissa per collegarsi al mondo, beh fatevi un esame di coscienza e chiedetevi quanto tempo in cazzate vi faccia perdere la possibilità di avere internet anche sul cellulare oltre che su eventuali chiavette. Io non ci casco, la rete fissa basta e avanza.

I tecnici di call-center credo sappiano qualcosa del disagio che la società mi sta arrecando. Speriamo che il week end sia proficuo, altrimenti prenderò il primo traghetto per la Sardegna e mi apposterò ignudo sotto la sede della società cagliaritana per rivendicare il mio semplice (e retribuito) diritto a comunicare come (e con) tutte le altre persone normali di questo mondo. Spero , in verità, di non arrivare a tanto anche perchè le temperature attuali non credo siano concilianti con il concetto di nudità.

Ma del resto bisgona fare il callo a questi disservizi.

Siamo in Italia e a quanto pare, da noi, la modernità regredisce repentinamente all'età della pietra non appena il cielo diventa giusto giusto di una tonalità di grigio più minacciosa del solito.

In compenso questo mio isolamento, oltre agli ovvi vantaggi in termini di riflessione e quiete, mi sta dando l'opportunità di portare a termine l'ultimo, immenso romanzo di Stephen King (22/11/63, circa ottocento pagine) e completare la carrellata sui film candidati agli Oscar. Con la conseguenza di raccontarvi tutto quanto prima.

Il vostro non se sta con le mani in mano, goodbye !!

Vecchio Cezanne, nuovi milioni





E dopo i singoli calciatori, dopo le intere società di calcio, ora anche le opere d'arte.

Si può dire che questi facoltosi uomini resi tali dai combustibili fossili (in questo caso lo sceicco Hamed Bin Khalifa al Thani è al centro di immense riserve di gas naturale), potranno anche comprarsi l'intero Louvre o acquistare assoluti fuoriclasse del calcio o produrre gigantesche pellicole cinematografiche ma non riusciranno mai a catturare la magia e la poesia di città da sogno come Roma, Parigi o Londra. 

Ma intanto. 

Intanto accumulano oggetti del desiderio di molti uomini Europei e/o Americani che avranno senz'altro più cultura e tradizione di loro, ma di certo non il portafoglio.
E non è detto che a furia di comperare opere d'arte non riescano anche a guadagnare credito dal punto di vista culturale. E su questo, progetti di ambiziosi musei e festival cinematografici sapranno senz'altro dire la loro.

Una delle più influenti riviste del settore dell'arte,l’Art Newspaper, ha documentato gli acquisti negli ultimi sei anni (mai confermati dalla famiglia reale,ma rivelati da altre fonti) avvenuti attraverso G.P.S. Partners (mercanti d’arte con sedi a New York e Parigi),e ha incoronato il Qatar primo acquirente d’arte contemporanea al mondo nel 2011.

La punta dell'Iceberg sono "I giocatori di Carte" di Cezanne. Questo capolavoro dell'arte post-impressionista è diventato grazie al denaro dello sceicco di cui sopra, l'opera d'arte più pagata al mondo, con 250 milioni di dollari. 

Non osiamo immaginare cosa potrebbe succedere se finisse all'asta un'opera di Leonardo da Vinci, che certamente non è contemporaneo ma ha un "certo" fascino.


lunedì 6 febbraio 2012

Oscar 2012 - The Artist (drammatico, muto di M.Hazanavicius)




TRAMA : Il film si svolge a Hollywood nel 1927. Georges Valentin è un divo del cinema muto. La vita sembra sorridergli finché l'avvento dei film sonori lo condannerà all'oblio. Peppy Miller, giovane comparsa, sta invece per esssere lanciata nel firmamento delle star. Il film racconta i loro destini incrociati.

VALUTAZIONE : 7,5

E' innegabile che lo spettatore volenteroso di approcciarsi a "The Artist" con senso critico, ovvero di valutarlo e farsi la propria idea riguardo all'enorme riscontro mediatico guadagnato dal film e magari di affiancarlo a quanto visto nella sua esperienza cinefila per trarre le sue conclusioni, resterà senz'altro confuso, stupito e distratto dalla forma entro la quale "The Artist" è confezionato.
Ci sarebbe un velo di ipocrisia e supponenza nell'affermare il contrario. Soprattutto chi l'ha visto una volta sola (come me,che per principio non rivedo mai i film una seconda volta se non casualmente) potrebbe fare un pò fatica a discernere l'aspetto fotografico e suggestivo del suo bianco e nero senza voce da quella che è poi l'elemento determinante nel successo di ogni film, ovvero la storia.

"The artist" è un buon film, un film senza dubbio ammiccante come le smorfie dei suoi protagonisti (la stranezza del film li rende quasi delle marionette) e che sfrutta appieno i limiti del muto rendendoli dei punti di forza e delle novità frastornanti per un pubblico che ovviamente è abituato ad altro (è molto strano sentire che in sala ognuno parla dei fatti propri senza compromettere agli altri la possibilità di seguire il film).

Ma a renderlo oltre che una riuscita operazione di marketing e riscoperta degli albori della settima arte altresì un prodotto artisticamente valido, è la semplicità e anche la prevedibilità della trama, unita all'applicazione accademica degli attori che non sembrano per nulla dei nostri contemporanei tanta è l'abnegazione alla causa.

Cioè "The Artist" sarebbe stata ben poca cosa se si fosse usata la regia da film muto con una sceneggiatura da parlato magari densa di controsensi o accesi dibattiti, perchè oltre ad essere un controsenso ciò si sarebbe tradotto in snodi narrativi da cui sarebbe stato arduo districarsi vista la mancanza di suono nelle parole dei protagonisti (nonostante le pittoresche didascalie).
E invece anche a costo di non sembrare poi troppo sorprendente (i risvolti decisivi della trama si anticipano senza difficoltà) il regista sceglie la strada della semplicità con dei rodati meccanismi di crescita, caduta e redenzione che non hanno mai fatto male a nessuno. E si esce dal cinema con la sensazione sempre più rara di aver assistito ad uno spettacolo di messinscena vero e proprio.

domenica 5 febbraio 2012

cuor di Assassino



Dicono che il paese dei grandi reality siano gli Stati Uniti..seri dubbi, seri dubbi.

La cosa tragica del primato di paese più ridicolizzabile del globo che a breve ci verrà consegnato con tanto di stretta di mano da parte dei colleghi inglesi che per decenni hanno comandato in questo triste ambito, è che non si parla di persone che si credono talentuose e lo vanno spiattellando in giro per le televisioni o di gente che senza il minimo buon gusto ed educazione si guadagna facilmente il prime time.

Parlo di morti. Di morti ammazzati, che da noi contano meno di niente e rivivono ogni volta in modo sempre più degradante nel sorriso sbeffeggiante e folle dell'omicida che corrisponde al nome di Cesare Battisti.

Una persona che la giustizia ha condannato come colpevole di quattro omicidi,  tre come concorrente nell'esecuzione, uno co-ideato ed eseguito da altri e che allegramente guarda le telecamere italiane col piglio della superstar.

Non solo è scappato, non solo sappiamo dov'è stato e dov'è senza poter muovere un dito, non solo gira liberamente e si fa una gran bella vita alle spalle dei morti di cui sopra.

Non solo. Ci prende anche per il culo. Insulta il presidente della repubblica, pretende di tornare in Italia senza essere arrestato chiedendo un giudizio che è stato già dato e con estrema chiarezza.

Questo assassino con velleità di scrittore (titolo che insulta gli scrittori veri) gode della stima incondizionata di gente che oltre ad ammirarlo gli concede spazio mediatico facendolo passare per incompreso genio intellettuale finito per sbaglio in un tribunale per omicidio.

Vogliamoli bene, suvvia. Mi chiedo dove siano i servizi segreti italiani.

i Controsensi del Prof Monti.

Scusi prof. Lei ha detto che il posto fisso e' noioso, e cambiare lavoro o non averne uno fisso sarebbe sinonimo di dinamismo ed elasticità.


Il mestiere del parlamentare (ministro, senatore o deputato) non è un lavoro fisso (tranne per i  senatori a vita), perchè al massimo dura 4 anni e può essere rinnovato solo dopo tale scadenza. Allora, mi spiega come mai questi parlamentari sembrano così annoiati ?









venerdì 3 febbraio 2012

Oscar 2012 - Moneyball - L'arte di Vincere (Sportivo, Biografico, di B.Miller)



*Da qui alla data di consegna degli Oscar (26/2) cercherò di vedere la maggior parte dei film nominati nelle categorie principali (film, regia, attore protagonista, sceneggiatura originale e non originale), in modo da fornire un giudizio personale su meriti e demeriti dei nominati dall'Academy che sarò riuscito a visionare. Finora sono stati visti : Midnight in Paris, The tree of life, La Talpa, Le amiche della sposa, Le idi di Marzo, The Artist (articolo a breve) e appunto Moneyball. 

MIGLIOR FILM :
The Artist; The Descendants; Molto Forte, incredibilmente vicino; The Help; Hugo Cabret; Midnight in Paris; Moneyball; The Tree of Life; War Horse

MIGLIOR REGIA
The Artist - Michel Hazanavicius ;The Descendants - Alexander Payne
Hugo - Martin Scorsese ; Midnight in Paris - Woody Allen; 
The Tree of Life - Terrence Malick

ATTORE PROTAGONISTA
Demián bichir - A Better Life ; George Clooney - The Descendants ;Jean Dujardin - The Artist
Gary Oldman - Tinker, Taylor, Soldier, Spy; Brad Pitt - Moneyball

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
The Descendants (Paradiso Amaro); Hugo Cabret; The Ides of March ;Moneyball (L’arte di vincere)Tinker Tailor Soldier Spy (La talpa)

MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE
The Artist ; Bridesmaids (Le amiche della sposa) ;Margin Call ; Midnight in Paris ;
Una separazione


TRAMA :

Assunto come general manager della squadra di baseball degli Oakland's Athletics, Billy Beane cerca di trovare in un complesso sistema computerizzato d'analisi statistica il modo di trovare i giocatori migliori da mettere sotto contratto e da schierare. Per tornare finalmente a vincere.



VALUTAZIONE : 6,5

E' senza dubbio un buon periodo storico per i film incentrati sullo sport, soprattutto nei casi in cui essi sono costruiti come vere e proprie biografie di personaggi che hanno lasciato il segno nei vari ambiti di competenza.

Tuttavia proporre soggetti incentrati su imprese condotte all'interno di sport di squadra è senza dubbio più
complesso, in quanto il rischio costante è quello di cadere nella retorica delle dinamiche del gruppo, dei meccanismi puntuali della sconfitta e del riscatto, dell'invidia altrui, del rincorrersi monotono di statistiche e stagioni fino alla risoluzione finale.

Ed in parte "Moneyball" non sfugge a queste trappole, soprattutto nella seconda parte prosciugata un pò in fretta. Ma laddove il compito preciso di un film è quello di mettere su pellicola la vita di un uomo di sport (in questo caso l'ostico baseball) le cui imprese sono materia di cronaca, in che modo si può provare ad elevare il progetto ad opera d'arte superando i limiti imposti dal catenaccio dei fatti ?
Un convincente Brad Pitt tiene a rapporto i suoi uomini

Soprattutto con la sceneggiatura. La sceneggiatura è il moto principale del racconto, se è fatta bene riesce a rendere avvincente anche un elenco poco originale di fatti di cronaca. A imporre curiosità, pepe ed elettricità anche ad una banale riunione tecnica.
Ed il fuoriclasse A.Sorkin gioca per la squadra, mettendo a punto una sceneggiatura che per la prima ora e mezza è sostanzialmente perfetta.
Dinamiche di mercato, valutazione degli uomini, vita privata. Il tutto è reso con ritmo e verve. E la presenza di Brad Pitt contribuisce a estraniare il racconto dall'ineluttabilità dei fatti, perchè sforzandoci di valutarlo come attore esulando dal suo carisma di star ci si accorge di come lui ed il film si aiutano a vicenda.
Ma poi quando dev'essere il film ad aiutare lui, ovvero nella citata seconda parte, la tendenza molto americana a estremizzare le emozioni ed ovattare le sensazioni di momenti topici, fanno allontanare la pellicola dal sentiero secco, reale e duro su cui viaggiavano i presupposti.

mercoledì 1 febbraio 2012

Musica - The Twilight Sad "No One Can Ever Know" (2012)


RICAPITOLIAMO :

Terzo album  per questi ragazzi scozzesi, dopo due dischi in cui avevano regalato grandissimi momenti di emozione agli amanti del rock influenzato dal noise e dal post punk più incendiario.

GENERE E VOTO : post punk innestato su synth e attitudine industrial, 7/10



E fu così che il “fascino” dei suoni sintetici e delle tastiere investì un altro dei valorosi baluardi del rock elettrico, tirato, portentoso, deflagrante al limite – talvolta- del cacofonico. La predilezione della forma canzone nei suoi canoni tipici (minutaggio, alternanza precisa di melodia e strascichi strumentali, obiettivo fissato nella convenzionalità dell’inciso che prepara il terreno al chorus ricercatissimo) già avviata con “Forget the night ahead” completa il suo percorso in questo album. Senza girarci molto attorno i registri sonori sono molto mutati con una tendenza, soprattutto nella seconda parte, alla rarefazione e al synthetismo.

 Onestamente mi aspettavo molto da questo Lp, o per meglio dire attendevo con una certa fiducia i Twilight Sad al varco della terza uscita. Tuttavia chi tiene un occhio di riguardo per una determinata band, tende ad essere un po’ egoista e osservare con occhio critico e scettico il “cambiamento”. Ma del resto parliamo di artisti, persone che oltre a lavorare con la musica sono legati ad essa da ambizioni e sensibilità. Per cui per determinati musicisti variare il proprio registro, esplorare soluzioni differenti sia nella scrittura che negli arrangiamenti diventa ad un certo punto un’esigenza legata a doppio filo a quella sensibilità di cui parlavo prima. Non è detto che queste esplorazioni in territori nuovi musicalmente parlando, siano sempre sinonimo di una migrazione definitiva verso un altro sound differente da quello classico.

Per questo si parla di dischi di transizione, ovvero di album che sono testimoni di un momento particolare dal punto di vista creativo e che risentono concretamente di determinate esigenze di sperimentazione che, il più delle volte, come un capriccio, volano via nel breve termine quasi come se non fossero mai esistite. E così va preso questo “No one can ever know”, convenzionale per i più, forse quanto di più difficile si possa fare per chi l’ha concepito. Perché differente da quanto fatto finora. Nelle scelte stilistiche. Dove le chitarre hanno incredibilmente un ruolo secondario, scavalcate nelle gerarchie da drum machine e synth (diverse soluzioni ricordano i “Maps”).

Scelte che sembrano fuori luogo, che potrebbero risultare eccessivamente snaturanti (anche se determinate caratteristiche come la ridondanza di alcuni versi , l’enfasi interpretativa, la tendenza alla progressione nel ritmo sono sempre al loro posto) e che senz’altro apriranno ampi fronti di discussione. Ad ogni modo soprattutto grazie all’abituale ottima prestazione di James (e a quella tensione molto particolare trasmessa dalla loro scrittura) riescono ad addolcire la pillola del cambiamento e condurre il disco senza rubar nulla ad una corposa sufficienza.