giovedì 31 maggio 2012

Razzi, Arpìe, Inferno e Fiamme




Alla chiesa non ne va una bene, ultimamente.

Anzi, è dalla morte di Giovanni Paolo II che non c'è stato verso di raddrizzare la situazione.
Le cose e le persone losche e sbagliate ci sono sempre state, ma probabilmente il vecchio Carol W. era semplicemente più abile nel fare scudo sul vaticano, mettendoci la faccia e probabilmente sbrigandosela da solo nelle questioni più delicate con l'ausilio di pochissimi ma irreprensibili collaboratori.

Invece il povero ex militare delle SS Joseph R., ogni giorno che passa vede sempre più acqua sgorgare da qualsiasi anfratto della casa Pontificia.

Soldi, ambizioni personali, pedofilia, tradimenti, enigmatici sparizioni all'ombra della croce, cospirazioni di qualsiasi genere.
E' un gran puttanaio, per dirla con Don Giorgio de Capitani.
Insomma, lo scandalo della fuga dei documenti privati del Papa, l'assurda questione dello IOR e la pista poco rinfrancante che porta il cadavere di Manuela Orlandi dove non dovrebbe proprio essere, sono il classico vagito di un Vulcano che non ce la fa più a trattenersi.

Ma dov'è il marcio ? Come può la chiesa uscirne con poche ossa rotte ? Non è certo la crisi vissuta a cavallo della rivoluzione francese (religiosi che finivano alla ghigliottina con lo stesso ritmo delle olive che cadono dagli alberi nel periodo di maturazione), ma ci vorranno misure molto drastiche per non far degenerare la situazione.

Una questione di non poco conto è proprio nella persona di Benedetto XVI. Appare, a mio parere sempre più debole. Sempre meno in grado di tenere in mano le redini di quella mandria impazzita dei cardinali, sempre più persona sbagliata nel posto sbagliato, poco elastico nelle decisioni e nel soppesare pro e contro di determinate valutazioni, è stato sbattuto direttamente in faccia al mondo quando il giorno prima e anche tutti quelli precedenti era a capo chino sui libri di teologia. Un teologo, uno studioso, un uomo solitario. E il suo probabile impaccio nella menage quotidiano di un terreno minato com'è la Chiesa, ha scatenato i cardinali e i loro vicini, che hanno iniziato ad andare per contro proprio, portandoci dove siamo adesso.


Ma anche se Joseph R., si facesse da parte o da qui a 100 anni dovesse morire ? Il restante 99% della chiesa sarebbe sempre li.
Uno degli aspetti che più contribuisce alla perdità di popolarità del regno di sua santità, è senza dubbio il progressivo allontamento dalla pura tradizione cristiana, dalla lezione di cristo a favore di una contaminazione sempre più profonda ed irreversibile nelle questioni di politica ed attualità spicciola, nei risvolti di quel famoso potere temporale che da sempre incombe sul papato.

Prendiamo una questione temporale, come quella dello Ior.

Si intuisce un accanimento tipico di una Chiesa che tende a divorare i suoi figli, specie se non ecclesiastici; e l’eco del conflitto fra il banchiere e il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Il torto
principale di Gotti Tedeschi sembra quello di essersi opposto ad alcune controverse operazioni finanziarie dello Ior.

La Chiesa è in profonda crisi di identità, marcia dal suo interno. Il tentativo di velare questa realtà calando la scure su responsabili  estranei al suo ambiente al di là di eventuali colpe o errori è quantomeno segno di autoritarismo confuso: soprattutto se il Vaticano pensa di cavarsela senza dare segnali meno «decisionisti» e più convincenti. 



Chiudo questa riflessione con un pensiero di Giovanni Reale, 81 anni grande filosofo accademico (insegna all'università San Raffaele di Milano) :

<<E' il momento di guardare oltre, al di là dei fatti che accadono. Il vero cristiano vive in questo mondo ma non secondo la logica di questo mondo. L’errore più grave che possa commettere è cercare di introdurre il regno di Dio in questo mondo ma seguendo la logica di questo mondo»

mercoledì 30 maggio 2012

al cinema - Dark Shadows (black comedy, horror, dramma di Tim Burton)







TRAMA

Nell'anno 1752, Joshua e Naomi Collins, insieme al loro giovane figlio Barnabas, salpano da Liverpool, Inghilterra, per cominciare una nuova vita in America. Ma anche un oceano non basta per sfuggire alla misteriosa maledizione che affligge la famiglia. Due decenni passano e Barnabas ha il mondo ai suoi piedi, o almeno la città di Collinsport, Maine. Barnabas, signore di Collinwood Manor, è ricco, potente e un esperto playboy, finché non commette il terribile errore di spezzare il cuore di Angelique Brouchard (Eva Green). Una strega in tutti i sensi, Angelique lo condanna a un destino peggiore della morte, trasformandolo in vampiro e seppellendolo vivo. Due secoli più tardi, Barnabas viene liberato involontariamente dalla sua tomba ed emerge nel diversissimo mondo del 1972. Tornato a Collinwood Manor, scopre che la sua un tempo grande proprietà è caduta in rovina. Ciò che rimane della famiglia Collins se la passa poco meglio, e ciascuno nasconde oscuri segreti.


VALUTAZIONE :  5 / 10

Tim Burton non riesce neanche questa volta a liberarsi dalla prigionìa in cui è caduto per mano dell'estetica.
"Dark Shadows" lancia numerosi input, schegge di indicazioni tematiche, ma non approfondisce ne seduce in nessuna di queste, benchè la messinscena risulti comunque efficace.
Ed è probabilmente l'atmosfera che appare un pò imbolsita e non troppo sbilanciata ne in direzione dell'ironia (come in Big Fish) ne tantomeno in quella della suspence (il Mistero di sleepy Holow, che comunque flirtava anche con un senso dello humour nero), a pesare più di tutto sul risultato finale.

Come del resto Alice in Wonderland, che era popolato da mille personaggi e colori ma senza uno che spiccasse sopra gli altri e restare indelebile, o Sweeney Todd che soffriva di una sceneggiatura che girava su se stessa, anche il nuovo film, ha sì il pregio di scivolare via amabilmente senza grosse spese in termini di ricerche formali fine a se stesse (ma un paio di scene musicali sono già troppe), ma prova la mescolanza di generi senza convincere in nessuno di quelli proposti : l'ironica interazione tra la famiglia e il vampiro è interessante ma solo abbozzata, l'unico personaggio approfondito nel clan è quello della psichiatra mentre gli altri riservano tutto per il concitato (e iper prevedibile) finale, le apparizioni (effetti da serie b) e i personaggi negativi non incutono il minimo terrore (lo stesso vampiro ammazza troppo poco e in modo censurato), il prologo meritava un trattamento ben più dignitoso oppure poteva essere eliminato in favore di flashback che magari avrebbero sottratto un pò di didascalismo. Per non parlare, sempre in termini di didascalismi, della voce fuori campo : un aiuto alla comprensione davvero inutile.

Al tirar delle somme "Dark Shadows" è senza dubbio troppo breve, giocato con toni realizzativi a sprazzi banalmente esemplificativi e con un cast che vive di rendimenti alterni (fin troppo bene Johnny Depp e la Pfeiffer, totalmente fuori parte Eva Green e Cloe Moretz). La sensazione è quella di una sceneggiatura che abbia voluto attingere a tanti e diversi spunti della serie tv per dare un quadro d'insieme il più fedele possibile, ma tolta la suggestiva ambientazione, qualche buono spunto attoriale solitario e delle "gag" ben fatte, resta in mano decisamente solo tanto fumo.

martedì 29 maggio 2012

Autogol





Non mi nascondo dietro la cruna di un ago dicendo che del calcio non mi interessa nulla. E finora non mi sono nemmeno permesso di usare delle parole particolarmente negative sull'operato strettamente tecnico del
governo e di Mario Monti.
Però la verità è che l'ipocrisia di un uomo che nonostante gli enormi esborsi in termini di tassazione richiesti agli italiani non ha fatto corrispondere dall'altra parte una seria svolta nella gestione della cosa pubblica e degli infimi giochini che dominano la stanza dei bottoni, sta diventando insostenibile.
Un uomo che è letteralmente schiavo da un lato della classe politica (da cui dipende il via libera delle sue discutibili iniziative in campo soprattutto economico) e dall'altro del sistema bancario (vero fautore di tutte le grandi decisioni europee e italiane), non può permettersi il lusso di mettere lingua nel calcio, che ha degli organi ed un sistema indipendenti, capaci di giudicare ed agire con la dovuta efficacia.

Dico che non può permettersi di parlare perchè in questo modo finirebbe per assumere posizioni di carattere politico (cosa che non dovrebbe accadere vista la natura tecnica del suo mandato), perchè il calcio non è un ambiente più sporco di quanto non lo possa essere il parlamento dove quasi tutti hanno o hanno avuto processi a carico e per i quali non è mai prevista una interruzione anticipata del mandato e soprattutto perchè non può strumentalizzare uno sport all'indomani di un evento catastrofico come il terremoto, lasciando intendere che la catena del mea culpa e della solidarietà deve partire dai campi di calcio e non da quelli del potere.

Lui si scusa, dicendo che la sua esternazione ("il calcio dovrebbe fermarsi per 2-3 anni") era una esternazione da "tifoso".  Bene, allora perché fa finta di non ascoltare le esternazioni da "disperati" attaccate in coda ai numerosi suicidi che affliggono la classe medio-piccola imprenditoriale ?

Il calcio come tanti altri mondi è afflitto dalla corruzione, dall'arroganza e dalla brama di potere. Ma attenzione, nel calcio il tifoso è libero di scegliere. Se sceglie di essere schifato da questo sport può smettere anche domani di andare allo stadio, di avere un abbonamento alla pay tv o di acquistare la maglia della sua squadra del cuore. E nel calcio, la grossa parte dei soldi non è certo estirpata dai contribuenti senza possibilità di rifiuto.

domenica 27 maggio 2012

al cinema - The Avengers (azione, fantasy, di J. Whedon)



TRAMA :

I supereroi più famosi si riuniscono in una squadra di personaggi Marvel leggendari come Iron Man, l'incredibile Hulk, Thor, Captain America, Occhio di Falco e Vedova Nera. Quando la comparsa di un nemico inatteso minaccia la tranquillità e la sicurezza del mondo, Nick Fury, direttore dell'agenzia internazionale per il mantenimento della pace conosciuta come S.H.I.E.L.D., si trova ad aver bisogno di una squadra che salvi il pianeta dall'orlo del disastro. Inizia così, da un capo all'altro della terra, un audace lavoro di reclutamento. Dopo aver riunito la squadra, Nick Fury e il suo fidato assistente, l'Agente Coulson, dovranno convincere i supereroi a convivere e lavorare insieme, utilizzando i loro incredibili poteri contro il pericoloso Loki che è riuscito ad accedere al Tesseract e ai suoi poteri illimitati.



VALUTAZIONE : 4.5

Il film che in questi giorni sta polverizzando in USA i record di incassi di Avatar, ci impiega un'ora e mezza per incutermi un pò d'interesse.
Cioè in sostanza da quando il regista rompe gli indugi, abbandona le basi aeree e si lancia negli spazi aperti sfidando qualsiasi tipo di legge fisica, naturale e anche l'intelligenza dello spettatore per far interagire senz'alcun tipo di di freno tutti i supereroi schierati in campo.

Perchè, insomma, quello che si vede fino alla battaglia in campo aperto di Manhattan è ben poca cosa, anzi nulla (non che la battaglia in se sia qualcosa di innovativo, ma almeno alza l'adrenalina sfruttando a dovere
gli effetti visivi). Il solito saggio di verbosità caro ai recenti film di fantascienza dove si crede di poter sembrare colti e ricercati solo perchè si fa uso e abuso di irripetibili termini tecnico-scientifici, facendo sfoggio di computer e armi ultra moderne e dove le persone che intervengono nell'azione sono sempre i buoni contro i cattivi con relative mescolanze e corruzioni delle parti.

Il tema dell'invasione/schiavitù della Terra e dei terrestri, pare non stancare ne gli sceneggiatori ne gli spettatori, tanto più se a coprire le falle di uno script che è poco più di un taglio e cucito di altre centinaia di prodotti simili, ci pensano delle presenze massicce e carismatiche come Hulk o Capitan America. Il film non è assolutamente costruito per rendere approfondita o credibile la cooperazione e la contemporanea presenza altresì inspiegabile di questi personaggi, piuttosto si cerca solo il pretesto per tirare a lucido i loro poteri,
tentando di render loro il compito un pelo difficile con un cattivo di turno dotato di un esercito di tutto rispetto.

Quello che manca totalmente o comunque viene fuori troppo a sprazzi è l'ironia che per forza di cose poteva essere l'unico collante tra figure incollocabili all'interno dello stesso contesto : un paio di risatine le fa scappare l'irruenza di Hulk, mentre la cialtroneria di Iron Man non sorprende più di tanto. Per il resto si tenta di restare sul serio ma, complice anche il cattivissimo fratello di Thor che ci fa sbadigliare ogni volta che apre bocca o appare sullo schermo, il bersaglio non viene mai sfiorato, anche a causa di dettagli e/o sviluppi sottili di trama che sono assenti o gestiti malissimo.

Insomma un film che fa rimbombare il sistema surround del cinema e fa scintillare gli occhi, ma dopo un minuto dai titoli di coda non ricorderete nemmeno più il nome del "cattivissimo fratello di Thor"...

giovedì 24 maggio 2012

Presenze funebri








Fateci caso. Con un piccolo esercizio di mente locale non bisogna fare molta fatica per mettere a fuoco che
le uniche occasioni in cui la gente comune ha l'onore (tra virgolette) di avere al proprio cospetto i più grandi nomi politici del paese, sono le Elezioni (con relativi comizi in tour) e i Funerali.
Cioè nel primo caso (le elezioni) loro vengono da Noi ad elemosinare un voto, nella seconda occasione ci deve essere una tragedia per far si che uno di questi ometti ci degni della loro presenza.
Perché al di la di queste due occasioni (a mio parere entrambe di convenienza), non si fanno mai vedere?
O meglio, perchè nel loro menage quotidiano manca una voce come "visita di cortesia" ? Perchè non visitano una zona o un paese, per il solo gusto di mischiarsi con la gente comune in via ufficiale, senza approfittare delle vacanze (con relativi sconti) ? Credo che siano anche le piccole cose come queste, alla base del rigetto nei confronti della politica che è sempre più in fondo ai pensieri dell'italiano medio.

giovedì 17 maggio 2012

al cinema - "Chronicle" (sci-fi di J. Trank)




TRAMA :

Andrew, Matt e Steve sono adolescenti comuni, con cui tutti possono identificarsi; ognuno di loro ha una personalità ben distinta con cui affronta le normali difficoltà legate alla scuola, alle nuove amicizie, in una fase della vita in costante evoluzione. Sono imperfetti, goffi e un po' avventati. Sono come noi, e come molti di noi, sono ossessionati all'idea di raccontare la loro vita, sia gli eventi più ordinari, sia - come nel loro caso - quelli più straordinari. Perché Andrew, Matt e Steve s'imbattono in qualcosa che trascende la loro comprensione e quella di chiunque altro. I tre ragazzi, infatti, improvvisamente sviluppano incredibili capacità telecinetiche: per dirla nel linguaggio dei fumetti, sono dotati di superpoteri! I ragazzi diventano praticamente capaci di qualsiasi cosa. Possono muovere gli oggetti con la forza del pensiero e scaraventare in aria automobili solo con la volontà. Imparano persino a volare realizzando così il loro sogno più grande. Ad un certo punto però la faccenda si complica.





VALUTAZIONE : 7 / 10

Una discreta sorpresa questo "Chronicle" che se nulla aggiunge al filone dei finti "filmati ritrovati", ha il merito di prendere una direzione molto precisa e priva di compromessi, che senza dubbio lo eleva ben al di sopra di tanti altri teen movie tradizionali (magari a sfondo horror) e che se non è credibile come il caro vecchio e indimenticato "Blair Witch Project" (pelle d'oca solo a nominarlo), almeno non diventa stucchevole come "Cloverfield".Prendendo il via dalla solita vita da liceo (fighi vs sfigati) ma certamente con un pizzico di spontaneità in più rispetto ad un prodotto con lo stesso target come Twilight, il film  si addentra con discrezione e timidezza (poi con inesorabile crudeltà) nel bel mezzo di una tempesta incontrollabile, dove il soprannaturale non ha nome o spiegazione : semplicemente accade (anche se il debito con delle serie tv di riferimento è palese)

Ed è forse qui il merito del film, che ben si sposa con la tecnica registica, cioè quello di non cercare risposte ma solo di offrire la verità e lasciare che lo spettatore decida chi condannare e lasciar vivere. Ed il risultato è quello di un "Hancock" meno ironico, dove la tragedia dei protagonisti è palpabile, il delirio inevitabile e
soprattutto dei superpoteri che non spettacolarizzano se non in relazione alla loro naturale evoluzione. Un sci-fi con vena horror che trova un equilibrio ottimale nell'evitare scorciatoie morali o risoluzioni consensuali.

Un pò immaturo nei dialoghi ed incoerente con la ricostruzione che vediamo su schermo, il film ci consegna degli ottimi personaggi ed un grandissimo protagonista, quell'Andrew-Carrie simbolo di un delirio di onnipotenza che alla fine ci si sente di perdonare : molte persone ne sono sopraffatte pur senza un briciolo di potere soprannaturale.



mercoledì 16 maggio 2012

al cinema - "Hunger" (dramma, di S. McQueen)




TRAMA :

Il film racconta della rivolta attuata nel carcere nordirlandese di Maze all’alba degli anni Ottanta, quando i detenuti dell’IRA, per costringere il governo inglese a dargli lo status di prigionieri politici, diedero prima il via d uno sciopero dell’igiene e successivamente, per iniziativa di Bobby Sands, ad uno sciopero della fame che portò alla morte dello stesso Sands e di altri nove detenuti.


VALUTAZIONE : 8 / 10

McQueen non conosce le regole del pudore. La sofferenza la prende di petto, la esplicita. Non esalta nulla, nè mostra quel gusto sadico per la spettacolarizzazione che talvolta rovina anche pellicole molto valide.


Ma del resto l'unico modo per rendere giustizia a Bobby, questo indelebile martire politico irlandese, era quello di rendere il più vivida possibile ogni sua sofferenza, umiliazione, decadimento.
E il regista inglese lo fa con maestria senza dimenticare quel tocco malinconico che rende la vicenda ancora più toccante (il riferimento è ovviamente alla gioventù di Bobby).
E a rendere il tutto quasi insopportabile sia per intensità che esplicita rappresentazione fisica, c'è la macchina da presa che segue con inesorabile dovizia di particolari le torture e le invivibili condizioni quotidiane a cui erano costretti a sottostare i detenuti.


Non è un film per cuori fragili e stomaci ballerini, il fastidio e la rabbia che incutono diverse sequenze sono frutto della volontà del regista di non lasciarsi andare a moralismi o a sotterfugi per allargare il bacino d'utenza.
E probabilmente non staremmo a parlare di una pellicola così importante (arrivata nei nostri cinema solo 4 anni dopo l'uscita a Cannes) se M. Fassbender oltre a metterci la faccia e le sue indiscutibili doti attoriali, non ci metta letteralmente il fisico, la pelle, il sangue. Diventato quasi uno scheletro con gli occhi aperti, l'interprete tedesco  diventa un'iconica rappresentazione delle torture fisiche e psicologiche subite dal vero Bobby e aiutato dal regista, che pur indugiando un pò troppo nel finale sulla fisicità dell'attore, offre una prova di rara intensità che ha il suo picco nel perfetto scambio di battute con il prete alla vigilia dell'inizio della sua agonia. 





giovedì 10 maggio 2012

dischi - Intercity "Yu Hu" (2012)




GENERE : Indie-pop, pop-rock in lingua italiana


VOTO : 7/10




Primo grande pregio di "Yu-Hu" è che l'altalenarsi delle voci, una maschile e una femminile, non intaccano in nessun modo la costanza qualitativa del disco. Anche se forse gli arrangiamenti meglio si sposano con la voce di Anna e più in generale quando si sovrappongono dolcemente.
Forse il più suadente, accessibile e vario tra i dischi in lingua italiana usciti fino a questo punto dell'anno, "Yu-hu" (seconda prova degli Intercity) spazia con una completa convinzione e sorprendente padronanza nella variazione di registri :  dal powe-pop al cantautorato, dallo chamber pop ad ascensioni dream, passando per l'indie-pop venato di sinfonismi ("Nouvelle Vogue"). Il collante a tutte queste sottili influenze è quindi l'attitudine pop, cristallina e di rado banalizzata, se non quando l'accostamento con qualcosa fatta dai Baustelle è più marcato.
Il tutto condito da melodie limpide, senza giri inutili, dall'alto coefficiente emozionale. Fin troppo gentili, a volte ("Anais" un pò più dura sarebbe stata davvero memorabile). Ma qui parliamo di gusti personali. 
Oggettivamente l'album per quasi tre quarti è compilato da singoli episodi di egual - alto - valore, il calo è fisiologico ed avviene solo quando il numero delle canzoni passa oltre la quantità di 10, anche se va detto che le ritmiche fresche di "Anti" in chiusura sono convincenti.
Lo stile è raffinato, mai sopra le righe, di chiaro e buon gusto. I testi sono narrati quasi ovunque con la giusta dose di malinconia e distacco, e la cui eccessiva colta verbosità rappresenta forse l'unico grande limite all'identificazione e credibilità, nonchè una sorta d'imposizione interpretativa che appare in episodi isolati un pò monocorde ("Mondo Moderno").










martedì 8 maggio 2012

in dvd - Miracolo a Le Havre (dramma,commedia, di Kaurismaki, 2011)




TRAMA :

Marcel Marx, un ex scrittore rinomato e bohemien, volontariamente si trasferisce in esilio nella città portuale di Le Havre, dove la sua professione onorevole, ma non redditizia, di lustrascarpe, gli dona la sensazione di essere più vicino alla gente. Mantiene viva la sua ambizione letteraria e conduce una vita soddisfacente nel triangolo formato dal pub dell'angolo, il suo lavoro e sua moglie Arletty, quando il destino mette improvvisamente nella sua vita un bambino immigrato proveniente dall'Africa nera.

VALUTAZIONE : 7.5

Kaurismaki domina alla perfezione l'arte di sospendere il tempo. 
Se non fosse per un telefono cellulare (tra l'altro un vecchissimo modello) che timidamente compare in un paio di scene, il film sarebbe molto difficile da collocare in un arco temporale. 
Certo non siamo nel dopoguerra ma non abbiamo nemmeno tati elementi per dire che siamo nell'attualità stretta. 
E questa sospensione incollocabile delle vicende che con tocco teatrale Kaurismaki mette in scena in una Le Havre trasognata, rende tutto il racconto sfumato e stralunato, come se si stesse leggendo una favola.
In questo film non c'è violenza, sadismo, sesso, cattiveria gratuita, parolacce, droghe ed è un puro marchio di fabbrica di Kaurismaki il tratteggiare gentilmente anche i personaggi negativi, plasmandoli con quell'espressività che con una sola inquadratura ha reso mille significati.

Un film che trasmette speranza, superamento delle oggettive difficoltà per aggirarne altre più grandi. Un elogio dello spirito di combattimento nel senso più genuino del termine, una sorta di trionfo della solidarietà e del vivere semplice.
I cattivi non fanno paura perchè dissimulano umanità e i buoni non nascondono nulla di acido sotto l'aspetto leale che mostrano allo spettatore. Ogni elemento è sapientemente equilibrato, non tutto è scontato e soprattutto con la giusta tensione emotiva che rende denso e significativo ogni minuto del film.





martedì 1 maggio 2012

dischi - Afterhours, "Padania" (2012)



GENERE : pop-rock, alt-rock


VALUTAZIONE : 5.5 / 10


Quattro anni di distanza tra un disco e l’altro dovrebbero implicare quantomeno un accurato lavoro di editing: taglio, dilatazione, selezione. Insomma di momenti per riflettere sulla tracklist, su ciò che escludere o includere c’è n’è stato. O no? Per questo non riesco a capacitarmi dell’assurda e supponente caparbietà con la quale gli Afterhours negli ultimi due dischi hanno seguitato ad includere pezzi che definire superflui è non solo un eufemismo ma un atto di riverente rispetto e gentilezza. Certo, è da stolti mugugnare sulle felici scelte del passato, rimpiangere le ipnotiche e strazianti suite di ‘Quello Che Non C’È’, la confortante calorosità delle scelte di ‘Ballate Per Piccole Iene’. E fermiamoci qua. Perché ciò che è successo prima del 2001 a mio parere oltre ad essere francamente irripetibile è poco o nulla affiancabile alle vicissitudini artistiche attuali. Anche solo ipotizzare di poter paragonare ‘Hai Paura Del Buio? o ‘Germi’ agli ultimi dischi, anche questo nella fattispecie, sarebbe oltraggioso e privo di qualsiasi fondamento critico. 


Cosa va e cosa non va, dunque in ‘Padania’


“Qualcosa” e “un po’ più di qualcosa”, sono le risposte immediate. Promuovo senz’alcun dubbio le sempre più impattanti aperture e chiusure, marchio di fabbrica indelebile della ditta Afterhours. L’ouverture di ‘Metamorfosi’ è una sincopata, mutante e liberatoria concertazione di rumore e beffardo strazio, la cui ideale coda di redenzione è in ‘La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo’ che con una certa sicurezza posso definire come la canzone più bella che la mente di Manuel Agnelli abbia regalato dal 2005 ad oggi (a mio parere l’ultimo grande pezzo davvero memorabile è stato ‘Ballata Per La Mia Piccola Iena’). Le buone sensazioni sono quindi ampiamente ricollegabili alla prima metà del disco, con indulgenza anche fino a ‘Spreca Una Vita’ (forse il pezzo che nell’accezione più pura del termine rock e nel filtro della voce, ricorda con maggior coscienza dei mezzi il periodo più folle degli Afterhours), seppur con delle epurazioni (‘Fosforo E Blu’ messa lì giusto per ricordare che si tratta della stessa band che ha scritto ‘Siete Proprio Dei Pulcini’ ha un che di stucchevole). 
Canzoni come la title track, al di là dell’ammiccamento emozionale, hanno una sapiente gestione dei tempi, un uso ammirabile della voce e una vena malinconica e disillusa dal fortissimo sapore crepuscolare, che sicuramente valgono la definizione di “classico”. Sullo stesso canovaccio anche ‘Costruire Per Distruggere’, forse ancor più efficace dal punto di vista dei testi. Il ‘Messaggio Promozionale N 1 ha un’impronta chitarristica che ricorda alla lontana qualcosa dei primi Coldplay e non sarebbe neanche male, se l’ironia saccente del testo non fosse quasi insopportabile. 


Nostro Anche Se Ci Fa Male’ inizia a mostrare i primi segni di cedimento del disco, un pezzo fin troppo ricercato e insistente nel pathos e un testo che potrebbe andar bene, fino a quando non intervengono i backing vocals a rovinare il tutto in modo davvero misero. ‘Giù Nei Tuoi Occhi’ gira a vuoto in attesa dell’urlo del chorus, ma annoia a causa della ripetitività del ritmo e una sostanziale incompiutezza che puzza di improvvisazione dell’ultimo momento. Insomma un riempitivo bello e buono, mezzo funk e mezzo punk, nulla di significativo. 
La caduta completa oltre che nel secondo messaggio promozionale che in sostanza si monta e smonta da solo (molti hanno evitato di commentare questi due pezzi definendoli semplici divertissement, ma siccome sono finiti in un disco che viene pagato per intero e non al netto dei due pezzi, allora è giusto giudicarli negativamente), si ha con ‘Io So Chi Sono’ cantata in modo insolito ma fascinoso su una base arrangiata in modo fastidioso che vira sul noise e quasi decolla col passare dei secondi grazie alla linea di chitarra che si aggiunge nel finale, per poi precipitare definitivamente con un coro di bambini che chiude in modo sconcertante il pezzo. 


So che probabilmente quanto sto per dire puzzerà di snobismo anche fino all’altra parte dell’Italia, ma mi sento in dovere di parlarne sia per la profonda conoscenza e ammirazione che ho nei confronti della produzione di quella che comunque resta e resterà una delle mie band della vita. Ho letto e sentito un po’ ovunque in giro di ‘Padania’ come di un disco rivoluzionario, fra i più coraggiosi, urticanti, spiazzanti e aggressivi della carriera della band di Manuel Agnelli. Io mi chiedo su quali basi sono stati fatti simili raffronti. 


Mi viene da pensare che chi usa queste parole con buona probabilità circoscriva la propria conoscenza degli Afterhours a Sanremo o al duetto con Mina con un ascolto (per dovere di cronaca) al disco precedente alle suddette esperienze (‘I Milanesi..’, appunto). Oppure, costruiscono ad arte giudizi, storie e concetti ad uso e consumo del fattore “vendita”. Perché infilare una chitarra distorta in coda o nel mezzo di un pezzo per amplificarne gli effetti dissimulandone la semplicità (‘La Tempesta È In Arrivo’ che ad ogni modo, pur in diverse banalità del testo, non mi sento di bocciare), urlare in modo furioso per un paio di minuti (‘Fosforo e Blu’), dire “cazzo” in modo simil-rappato (‘Ci Sarà Una Bella Luce’, comunque salvabile) non porta a definire queste canzoni come “sconvolgenti” o “spiazzanti”. Allo stesso modo, con una sagace quanto sottile strategia di rappresentazione, gli Afterhours hanno delineato delle sottotracce contestuali per dare un maggior rilievo al “concept” del disco che al di la delle dichiarazioni di facciata non ha la piatta asetticità dei testi di ‘I Milanesi..’ ma nemmeno una linearità emotiva che scava a fondo nelle coscienze. Certo alcuni passaggi sono notevoli (molti sono racchiusi nella già citata chiusura di ‘La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo’) e comunicano con efficacia il disagio dell’immedesimarsi nei valori che dominano le molteplici misere realtà che si susseguono in questi anni, ma l’intimo scalpore dell’inabilità ad espiare le colpe proprie e altrui sono espresse liricamente solo a sprazzi mentre la globalità dei paesaggi poetici sono contingenti a superfici su cui è difficile scavare in quanto troppo aride o didascaliche. 


Padania’ pecca senza dubbio in una ovvia (vista la non più verde età della band) mancanza di urgenza artistica, nella snervante discontinuità qualitativa della scaletta (e di conseguenza nella non esuberante attrattiva al riascolto completo), nell’applicazione talvolta forzata e sistematica della “ricerca” strettamente musicale che porta a soluzioni più bizzarre che spiazzanti. Tuttavia, viaggiare in compagnia degli Afterhours resta un’esperienza consigliabile, anche perché la qualità della produzione (soprattutto nella sovrapposizione dei suoni e nell’abile gestione dei momenti più elettrici dove la voce viene anche sovrastata) è eccellente, pulita, precisa. Manuel canta sempre meglio anche se in alcuni episodi dagli angoli più smussati eccede nell’enfatizzare il lato emotivo. Un disco che se fosse stato privo di diversi e pesanti passaggi a vuoto, guadagnando magari nella dilatazione dei pezzi più validi, avrebbe senza alcun dubbio lasciato una grossa impronta negli ascoltatori. Purtroppo invece la difficoltà nel conciliare l’esaltazione dei momenti più godibili ed il disappunto nel notare che tra essi ci si debba sorbire l’intermediazione di banali saggi di eclettismo, spingono più in direzione di un deterrente al riascolto.