giovedì 29 marzo 2012

dischi - Edda , "Odio i vivi" (2012)



RICAPITOLANDO :


Noto alle cronache musicali per la sua carriera all’interno della seminale formazione dei Ritmo Tribale attiva sulla scena a cavallo degli anni 80 e 90 (e autrice di almeno 2 album fondamentali), Edda è accompagnato anche in questa avventura dal suo socio-collaboratore-amico Walter Somà. Questo è il secondo LP, a distanza di tre anni da "Semper Biot"

GENERE E VALUTAZIONE : Post-cantautorato , 8.5/10

Non è d’immediata comprensione la materia sonora di cui si compone questo intensissimo, stratificato e catartico LP. Innanzitutto bisogna focalizzare l’attenzione sull’interpretazione vocale dei brani, come un vero e proprio termometro emozionale delle canzoni. Edda è un’interprete quasi teatrale dei brani, dove l’istinto e il trasporto emotivo giocano un ruolo analogo. Dal punto di vistar più strettamente musicale, siamo dalle parti di un gusto elettrico nervoso, incostante, costantemente arricchito da affascinanti inserti orchestrali. L’anima tipicamente rock ricorda alcuni fra gli animali più “selvaggi” del panorama internazionale, come Lou Reed o Tom Waits, soprattutto per l’attitudine “improvvisata” di molti arrangiamenti.

Ora scarno e sghembo, ora pomposo e trionfante, l’universo sonoro di “Odio i vivi” fluisce parallelamente agli umori delle liriche.
Instaurare un feeling con “Odio i vivi” significa innanzitutto porre fiducia nel suo autore, nella sua profonda autoreferenzialità, nei suoi repentini cambi di umore e prospettive. Non a caso la mia definizione di genere “post-cantautorato” : si ha come l’impressione di essere costantemente all’ascolto di una destrutturazione di ogni concetto classico di canzone cantautorale. Prendere come epicentro di questi infiniti nervi elettrici “Topazio”. Un pezzo che si potrebbe definire classic-industrial, dove incedere meccanici e martellanti hanno negli arrangiamenti orchestrali un perfetto contraltare acido, con la chitarra che taglia l’aria e il canto beffardo. Non c’è una direzione precisa, un susseguirsi puntuale di strofa-ponte-ritornello. No, “Odio i vivi” rifugge dalle catalogazioni per saltare il passaggio intermedio ascolto-assimilazione, raggiungendo direttamente l’anima di chi si lancia nei suoi meandri. Nonostante le difformità, le dissonanze e gli spigoli duri tra le righe della narrazione, Edda agisce come un dissacrante direttore di fiati dove la fine ha comunque una ragion d’esser nell’inizio di ogni circolarità. Queste canzoni, nel loro insieme, hanno le sembianza di uno specchio incrinato da mille venature, a seconda dell’angolazione si può godere di una indecifrabile forma eterea oppure di una illuminante composizione di frammenti. Motivo per il quale è riduttivo e banale cercare di estrapolare frammenti di significativa rappresentanza dell’intero lavoro, dove le storie che parlano di sesso, morte, rinascita, amore, prostituzione, stupidità pur tradendo l’urgenza del racconto non scadono mai nel didascalismo. Anzi, alcune versi sono talmente fulminanti ed estemporanei da chiedersi se per caso non fossero già nascoste da qualche parte nella nostra coscienza. La voce di Stefano si insinua nelle ossa : interpreta alla perfezione lo spettro sonoro, nessuna pausa emotiva ma solo ferite pulsanti, redenzioni, cattiverie. Verità. E' l’estetica che trascende da buona parte dei canoni attuali sia in termini della modesta forma canzone che di concepimento sin dalla scrittura, a porre clamorosamente “Odio i vivi” ai vertici di genere. Perché ? Semplicemente perché un genere, finora, non c’era.


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