martedì 1 maggio 2012

dischi - Afterhours, "Padania" (2012)



GENERE : pop-rock, alt-rock


VALUTAZIONE : 5.5 / 10


Quattro anni di distanza tra un disco e l’altro dovrebbero implicare quantomeno un accurato lavoro di editing: taglio, dilatazione, selezione. Insomma di momenti per riflettere sulla tracklist, su ciò che escludere o includere c’è n’è stato. O no? Per questo non riesco a capacitarmi dell’assurda e supponente caparbietà con la quale gli Afterhours negli ultimi due dischi hanno seguitato ad includere pezzi che definire superflui è non solo un eufemismo ma un atto di riverente rispetto e gentilezza. Certo, è da stolti mugugnare sulle felici scelte del passato, rimpiangere le ipnotiche e strazianti suite di ‘Quello Che Non C’È’, la confortante calorosità delle scelte di ‘Ballate Per Piccole Iene’. E fermiamoci qua. Perché ciò che è successo prima del 2001 a mio parere oltre ad essere francamente irripetibile è poco o nulla affiancabile alle vicissitudini artistiche attuali. Anche solo ipotizzare di poter paragonare ‘Hai Paura Del Buio? o ‘Germi’ agli ultimi dischi, anche questo nella fattispecie, sarebbe oltraggioso e privo di qualsiasi fondamento critico. 


Cosa va e cosa non va, dunque in ‘Padania’


“Qualcosa” e “un po’ più di qualcosa”, sono le risposte immediate. Promuovo senz’alcun dubbio le sempre più impattanti aperture e chiusure, marchio di fabbrica indelebile della ditta Afterhours. L’ouverture di ‘Metamorfosi’ è una sincopata, mutante e liberatoria concertazione di rumore e beffardo strazio, la cui ideale coda di redenzione è in ‘La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo’ che con una certa sicurezza posso definire come la canzone più bella che la mente di Manuel Agnelli abbia regalato dal 2005 ad oggi (a mio parere l’ultimo grande pezzo davvero memorabile è stato ‘Ballata Per La Mia Piccola Iena’). Le buone sensazioni sono quindi ampiamente ricollegabili alla prima metà del disco, con indulgenza anche fino a ‘Spreca Una Vita’ (forse il pezzo che nell’accezione più pura del termine rock e nel filtro della voce, ricorda con maggior coscienza dei mezzi il periodo più folle degli Afterhours), seppur con delle epurazioni (‘Fosforo E Blu’ messa lì giusto per ricordare che si tratta della stessa band che ha scritto ‘Siete Proprio Dei Pulcini’ ha un che di stucchevole). 
Canzoni come la title track, al di là dell’ammiccamento emozionale, hanno una sapiente gestione dei tempi, un uso ammirabile della voce e una vena malinconica e disillusa dal fortissimo sapore crepuscolare, che sicuramente valgono la definizione di “classico”. Sullo stesso canovaccio anche ‘Costruire Per Distruggere’, forse ancor più efficace dal punto di vista dei testi. Il ‘Messaggio Promozionale N 1 ha un’impronta chitarristica che ricorda alla lontana qualcosa dei primi Coldplay e non sarebbe neanche male, se l’ironia saccente del testo non fosse quasi insopportabile. 


Nostro Anche Se Ci Fa Male’ inizia a mostrare i primi segni di cedimento del disco, un pezzo fin troppo ricercato e insistente nel pathos e un testo che potrebbe andar bene, fino a quando non intervengono i backing vocals a rovinare il tutto in modo davvero misero. ‘Giù Nei Tuoi Occhi’ gira a vuoto in attesa dell’urlo del chorus, ma annoia a causa della ripetitività del ritmo e una sostanziale incompiutezza che puzza di improvvisazione dell’ultimo momento. Insomma un riempitivo bello e buono, mezzo funk e mezzo punk, nulla di significativo. 
La caduta completa oltre che nel secondo messaggio promozionale che in sostanza si monta e smonta da solo (molti hanno evitato di commentare questi due pezzi definendoli semplici divertissement, ma siccome sono finiti in un disco che viene pagato per intero e non al netto dei due pezzi, allora è giusto giudicarli negativamente), si ha con ‘Io So Chi Sono’ cantata in modo insolito ma fascinoso su una base arrangiata in modo fastidioso che vira sul noise e quasi decolla col passare dei secondi grazie alla linea di chitarra che si aggiunge nel finale, per poi precipitare definitivamente con un coro di bambini che chiude in modo sconcertante il pezzo. 


So che probabilmente quanto sto per dire puzzerà di snobismo anche fino all’altra parte dell’Italia, ma mi sento in dovere di parlarne sia per la profonda conoscenza e ammirazione che ho nei confronti della produzione di quella che comunque resta e resterà una delle mie band della vita. Ho letto e sentito un po’ ovunque in giro di ‘Padania’ come di un disco rivoluzionario, fra i più coraggiosi, urticanti, spiazzanti e aggressivi della carriera della band di Manuel Agnelli. Io mi chiedo su quali basi sono stati fatti simili raffronti. 


Mi viene da pensare che chi usa queste parole con buona probabilità circoscriva la propria conoscenza degli Afterhours a Sanremo o al duetto con Mina con un ascolto (per dovere di cronaca) al disco precedente alle suddette esperienze (‘I Milanesi..’, appunto). Oppure, costruiscono ad arte giudizi, storie e concetti ad uso e consumo del fattore “vendita”. Perché infilare una chitarra distorta in coda o nel mezzo di un pezzo per amplificarne gli effetti dissimulandone la semplicità (‘La Tempesta È In Arrivo’ che ad ogni modo, pur in diverse banalità del testo, non mi sento di bocciare), urlare in modo furioso per un paio di minuti (‘Fosforo e Blu’), dire “cazzo” in modo simil-rappato (‘Ci Sarà Una Bella Luce’, comunque salvabile) non porta a definire queste canzoni come “sconvolgenti” o “spiazzanti”. Allo stesso modo, con una sagace quanto sottile strategia di rappresentazione, gli Afterhours hanno delineato delle sottotracce contestuali per dare un maggior rilievo al “concept” del disco che al di la delle dichiarazioni di facciata non ha la piatta asetticità dei testi di ‘I Milanesi..’ ma nemmeno una linearità emotiva che scava a fondo nelle coscienze. Certo alcuni passaggi sono notevoli (molti sono racchiusi nella già citata chiusura di ‘La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo’) e comunicano con efficacia il disagio dell’immedesimarsi nei valori che dominano le molteplici misere realtà che si susseguono in questi anni, ma l’intimo scalpore dell’inabilità ad espiare le colpe proprie e altrui sono espresse liricamente solo a sprazzi mentre la globalità dei paesaggi poetici sono contingenti a superfici su cui è difficile scavare in quanto troppo aride o didascaliche. 


Padania’ pecca senza dubbio in una ovvia (vista la non più verde età della band) mancanza di urgenza artistica, nella snervante discontinuità qualitativa della scaletta (e di conseguenza nella non esuberante attrattiva al riascolto completo), nell’applicazione talvolta forzata e sistematica della “ricerca” strettamente musicale che porta a soluzioni più bizzarre che spiazzanti. Tuttavia, viaggiare in compagnia degli Afterhours resta un’esperienza consigliabile, anche perché la qualità della produzione (soprattutto nella sovrapposizione dei suoni e nell’abile gestione dei momenti più elettrici dove la voce viene anche sovrastata) è eccellente, pulita, precisa. Manuel canta sempre meglio anche se in alcuni episodi dagli angoli più smussati eccede nell’enfatizzare il lato emotivo. Un disco che se fosse stato privo di diversi e pesanti passaggi a vuoto, guadagnando magari nella dilatazione dei pezzi più validi, avrebbe senza alcun dubbio lasciato una grossa impronta negli ascoltatori. Purtroppo invece la difficoltà nel conciliare l’esaltazione dei momenti più godibili ed il disappunto nel notare che tra essi ci si debba sorbire l’intermediazione di banali saggi di eclettismo, spingono più in direzione di un deterrente al riascolto.

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