domenica 19 febbraio 2012

dischi - Cloud Nothings, "Attack On Memory" (2012)



RICAPITOLANDO : Terzo disco per i semisconosciuti ragazzoni di Cleveland che tentano di guadagnarsi un posto di rilievo nell'inflazionato universo dell'indie-rock.

GENERE E VOTO : alt-rock, post-punk .  6/10



E' difficile dire che sia una casualità riscontrare che ogni disco su cui mette le mani Steve Albini risulti QUANTOMENO ben registrato. Non mi va di lanciarmi in un sermone celentanesco sulle brutalità della 
compressione dei file mp3, di quanto essi siano lontanissimi dalla qualità e dalle mille sfaccettature di un cd o meglio ancora di un vinile (qui chiediamo davvero troppo..). Ma allo stesso tempo credo sia doveroso spendere due parole sulla straordinaria resa sonora che un album come "Attack on Memory" offre se ascoltato a volume alto da un supporto audio originale. E a chi va il merito di tali rinfrancanti ascolti se non alla persona (ingegnere del suono, produttore e musicista) che sovrintende alle registrazioni ?

Un vero specchio dei tempi è il fatto che un uomo come Albini offra la sua sapienza ed ineguagliabile conoscenza dei mille segreti del rock ad un'opera tutt'altro che memorabile come quella dei Cloud Nothings. Ma del resto in giro non mi sembra di percepire che le vie alternative del rock conducano a chissà quali gloriosi orizzonti, anzi. Come non voler dare torto a chi, non senza una certa riluttanza, ha segnato la data di fine del rock sul proprio nostalgico diario musicale in corrispondenza dell'anno 1991 ? 

Già, i Cloud Nothings. Non sono certamente i Fugazi, nè i Jesus Lizard, men che meno gli Slint. E ad Albini tocca fare di necessità virtù, cercando di estrapolare il meglio dagli spartiti comunque passabili della giovane band americana. Tuttavia è abbastanza triste osservare come sia proprio il timbro del producer quello che più di ogni altra cosa incide sui passaggi migliori del disco, che quando invece deve per forza di cose far leva unicamente sul songwriting mostra pericolosi deficit d'inventiva che nel migliore dei casi li rende similari ai Queens Of the Stone Age più dilatati. E nel migliore dei casi ? Beh il timbro vocale di Dylan riporta alla memoria, nei momenti più concitati, un Kurt Cobain poco in pace con se stesso e gli sfoghi strumentali che hanno un picco sublime in "Wasted days" risultano molto avvolgenti nella loro distorsione armonica che colpisce e rilancia senza sosta.


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