lunedì 20 febbraio 2012

Morte di un festival (era ora).

L'uomo che più di ogni canzone ha catalizzato con la consueta furbizia tutte le attenzioni

Non è il festival di Sanremo in sè. Ma è la metafora che si cela dietro la manifestazione del 2012 a dover far riflettere. La metafora di un paese mediocre, tremendamente provinciale, aggrappato ai soliti mezzucci
promozionali. Un paese la cui volgarità, sciatteria, buonismo di facciata e mercificazione della donna-oggetto hanno trovato il loro climax definitivo dentro il contenitore ormai definitivamente tramontato del festival.

Un festival dove le canzoni e gli artisti sono stati un banale diversivo all'interno di una sequenza imbarazzante di fantomatiche esibizioni di ospiti per nulla originali ed interessanti. Ospiti che hanno trovato terreno fertile per amplificare il nulla del loro contributo (basato per lo più su piatte divagazioni sessiste, svogliate performance pseudomusicali e improvvisazioni senza talento) in uno show male organizzato, dove la divisione dei compiti e dei tempi di tipici dello spettacolo sono stati continuamente bistrattati da protagonisti che non credevano minimamente in ciò che facevano. E se a ciò aggiungete delle canzoni che sono state ancora peggio dello standard tipico di un festival populista e commerciale come quello di Sanremo, allora converrete che la miseria artistica nella quale la manifestazione canora è definitivamente caduta è uno status che non prevede
alcuna via d'uscita che non siano la cancellazione o una dura, durissima, ristrutturazione della gara, della modalità di proposizione dello spettacolo e dei personaggi che devono farvi parte. Una caduta di stile irreversibile di una creatura che si è rivolta contro i suoi stessi creatori e che simbolicamente segue a ruota la decaduta di un altro simbolo dell'imbarazzo di milioni di italiani scomparso dalla scena qualche mese fa. Ciò deve produrre assolutamente delle forti prese di posizioni per tutelare chi segue questo festival e si sente continuamente preso in giro dal potere e dalla visibilità attribuita a persone che non hanno alcuno spessore.

Il talento espresso alla maniera di una donna che solo da noi può ricevere  attestati di stima

Non dimentichiamo che si tratta di un servizio pubblico. Che la Rai è fondamentalmente pagata da ogni possessore di televisione affinchè questa lo trattenga con un'offerta televisiva il più possibile condivisa dalla maggior parte degli italiani che non chiedono altro se non un pò di buon gusto, imparzialità e sana spensieratezza (magari abbinandoci la qualità di talenti effettivi). Ciò non accade. Perchè il festival è stato deturpato dalla sua universale credibilità di simbolo nazionale da uomini e donne che che l'hanno assoggettato ai propri interessi, usandolo senza tanti mezzi termini e discrezione come vetrina per mettere in mostra con assurda strafottenza e arroganza il proprio corpo o il proprio pensiero, senza che questi abbiano le minime credenzialità per farsi portavoce di un interesse comune.
Persone così maledettamente qualunquiste, vuote e banali che non meritano nemmeno di essere nominate.

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