martedì 14 febbraio 2012

Leggendo , Stephen King "22/11/63"



L'ultimo libro di Stephen King ha monopolizzato la mia classica mezz'ora pre-sonno-notturno dell'ultimo mese.
Non che a leggere le quasi 800 pagine del libro ci voglia tutto questo tempo. E' solo che per me i romanzi e la notte sono imprescindibili gli uni dall'altra. Di fatto la buona lena con cui scorrono azioni, personaggi e tempi (presenti, passati e futuri) all'interno di questa avventura, potrebbero anche costare una sola settimana ad un lettore che sparpaglia la sua passione in diversi momenti del giorno.

Sicuramente conoscerete la trama che, tuttavia, per dovere di cronaca vi ripropongo in maniero molto spicciola.

Un professore che vive nel Maine di nome Jake Epping tramite un conoscente (Al, moribondo gestore di una tavola calda) viene messo al corrente dell'esistenza di una "buca del coniglio", un varco temporale che permette di viaggiare indietro nel tempo. La particolarità di questo viaggio è che ogni qualvolta venga effettuato, il salto all'indietro è  sempre indirizzato ad un giorno preciso del 1958. Nel passato il tempo scorre normalmente, si invecchia, si lavora, si vive. Quando però si fa il viaggio contrario tramite la stessa buca (cioè dal passato al presente), nella realtà del 2011 saranno passati sempre due minuti. Cioè ipotizzando che Jake fosse entrato nel varco alle 20.45 nel 2011 scegliendo di vivere nel passato dal 1958 al 1970, sarebbe tornato nel 2011 alle 20.47 ma ovviamente invecchiato fisicamente di dodici anni. Questo esempio numerico l'ho ideato io per rendere l'idea del meccanismo. Quindi il tempo si potrebbe dire che scorra solo nel passato e tutte le azioni compiute nel tempo remoto avranno poi ripercussione sulla storia del presente. Cioè se Jake saltando nel tempo il 4 giugno del 1961 avesse fatto scoppiare una bomba in un palazzo (sempre esempio mio) e subito dopo fosse tornato al 2011, scandagliando gli archivi avrebbe trovato la cronaca del suo fatto compiuto nel passato. Chiaro ? Spero di si.
Bene. La questione è : Come si può approfittare di questo salto nel tempo per migliorare il mondo (la megalomania americana) ? Secondo Al, l'unica cosa da fare, la più importante, sarebbe quella di evitare l'attentato a John Fitzgerald Kennedy, avvenuto appunto il 22/11/63. Così il Vietnam, le tensioni razziali, eccetera sarebbero state evitate.
Durante i suoi viaggi nel tempo e prima di ammalarsi, Al aveva raccolto tutto il materiale necessario a rintracciare ed uccidere l'assassino del presidente, ovviamente prima che l'assassino porti a termine il suo macabro piano.
La missione viene quindi affidata a Jake che sarà cosciente di dover attendere che la vita dell'assassino faccia il suo corso prima di poter incrociare la sua. Ovviamente sapere molte cose in anticipo non potrà evitare a Jake di ascoltare la pericolosa "musica del caso".

Non vado oltre. Le premesse sono queste e credo siano gustose.



Venendo ad un commento sulle qualità del libro, senza dubbio lo spunto alla base della stesura è molto originale. Certamente il tema del viaggio nel tempo è uno tra i più classici della letteratura di genere, ma King aggiunge appena un pizzico di inquietudine e tracigit che si incarnano nelle avversità di un passato che quasi come una entità reale e pulsante farà di tutto per non essere cambiato.
King, evitando accenni ed atmosfere di pura fantascienza relega il salto del tempo ad un semplice salire e scendere di scalini immaginari.
Quindi nessuna funambolica macchina del tempo o distorsione fisica. Come se voi in casa vostra attraversando una porta invece di ritrovarvi in cucina foste catapultati nel medioevo.

parlerò con una certa autorità dell'autore perchè lo seguo sin dai tempi delle medie (più di quindici anni) e in quest'arco di tempo ho letto almeno l'80% dei suoi romanzi e riesco bene a distinguere uno arruffato da uno scritto con le idee chiare. E 22/11/63 è spostato nettamente nel secondo gruppo.

In molti considerano che il vecchio King se ne sia andato con l'incidente che lo coinvolse nel 1999 e che sostanzialmente la sua produzione più affilata ed efficace si sia conclusa con "Dolores claiborne".
Non hanno tutti i torti, già da "Desperation" (1996) la sua  diabolica inventiva aveva subìto un calo evidente (con la miracolosa eccezione di "Mucchio d'ossa", 1998) che ha condotto i suoi libri verso una narrativa "moderata" dove la componente horror-malata-psicotica, nonchè il gusto macabro per andare a scovare dapprima le tracce e poi osservare l'esplosione della cattiveria negli animi e nei luoghi più impensabili, che aveva contraddistinto la fortuna degli anni verdi è ormai andata perduta.
Il King moderno ha scelto narrazioni più ordinarie e metabolizzabili da consumatori meno esigenti rispetto ai fans più incalliti ("Cell" parlerà anche di zombie ma è molto più pauroso "La strada" di McCarthy dove agiscono uomini vivi e pericolosi), spesso dilatando oltre il buon senso delle storie che sin dalle fondamenta erano piuttosto banali ("Duma Key" è il peggiore esempio possibile, "La storia di Lisey" affascina ed è molto suggestivo, ma la rindondanza delle situazioni e delle tematiche lo rendono forse un pò piatto).

"22/11/63" condensa questi sforzi che appaiono tutt'altro che naturali (spesso e volentieri gli intercalare classici di king, vedi JIMLA ! oppure l'uomo delle tessere, sembrano messi lì per ricordare che il maestro dell'horror è sempre vivo anche se in letargo) all'interno di un contenitore avvincente anche se a mio parere, a livello di singoli personaggi, la comunità descritta nel precedente "The dome" era molto meglio assortita.
Ed è forse nel personaggio di Jake che si condensano le perplessità (comunque moderate e in minoranza rispetto agli entusiasmi) sul libro ed in generale di tutta la produzione recente del Re. Un personaggio che, nonostante viva un'epopea ricca di pericoli, colpi di scena e situazioni estreme, sembra più che altro un veicolo per la storia e non sia in grado di dominarla con il suo carisma. La sua caratterizzazione è standardizzata e le sue azioni, pensieri e risoluzioni appaiono poco approfondite, rispondendo alle esigenze del meccanismo globale anche quando sono poco ortodosse. E non aiuta il rifiuto da parte dell'autore di provare a scavare nel passato, che magari scegliendo di renderlo oscuro avrebbe efficacemente giustificato la scelta fatta dal destino.

Si potrebbe controbattere che alla fine stiamo parlando di un uomo normalissimo, senza vizi, senza paranoie, senza incubi, senza lacerazioni, senza traumi, che non siano quelli conseguenti alla sua scelta di tuffarsi nel tempo. Questo è conseguenza della scelta di lavorare più sulla catena di eventi che non sui conflitti dei protagonisti, aspetti che sono accennati e risoluti in fretta per impedire lo sfilacciarsi dell'ossatura principale.
Il romanzo in sostanza funziona per questo motivo, cioè per una efficace oliazione dell'avvincente meccanismo insito nella storia. Tuttavia la sequela principale (a causa del dilungarsi di un paio di fili secondari nella prima parte  risultanti alla base di almeno 200 pagine superflue che potrebbero essere state invece opportune se il tono del romanzo fosse stato più oscuro) soffre di quella sindrome da "rullo compressore" (così la chiamo) colpevole di una macinazione vorace e frenetica di fatti e persone che assorbe e travolge i momenti topici finendo per metterli semplicemente in fila indiana - sprecando risorse creative in un eccessivo didascalismo -  anzichè zigzagare per fluidificarne l'importanza.

Cosa differenzia, nella fattispecie in Stephen King, un romanzo avvincente e che "funziona" da uno che per tanto tempo riesce a monopolizzare pensieri e congetture di un lettore e che in definitiva definiremmo Magnifico? L'atmosfera ed il senso d'inquietudine.

Non che 22/11/63 non offra spunti per chiedersi il perchè di alcuni eventi : come (se) Jake avesse potuto agire diversamente. O che non imponga una discreta dose di suspence, anche in maniera episodica. Al contrario ad esempio di quanto accade in "La storia di Lisey" (prendo ad esempio un libro recente perchè il divario con quelli più vecchi è così grande da non giustificare un dibattito) dove accade molto meno a livello di episodi pratici, ma dove il tasso di suspence in termini di minaccia costante è quasi sempre alto. Ma è probabilmente la ricchezza e l'approfondimento della questione Kennedy a rendere aride le indispensabili (a mio parere) fonti di dubbio di un lettore. La chiara definizione dei contorni e dei contenuti ascrivibili nella tabella dei fatti, è un elemento che toglie una marcia al processo di elaborazione del lettore. Mentre il deficit a livello di atmosfera è più volta palpabile. Mi riferisco al passato, caratterizzato solo come una versione un pò meno tecnologica del presente. Dove, ad esempio, ci sarebbe potuto essere spazio per qualche episodio forte per descrivere con maggiore durezza le pesanti discriminazioni razziali.

La volontà di scrivere un libro suggestivo con un potenziale ambito di ampio consenso e con un tema delicato, è un obiettivo facilmente alla portata di uno scrittore talentuoso come King che, insomma, sacrifica ancora una volta i tratti distintivi del proprio universo letterario (almeno di quell'universo più apprezzato) in nome della"grande causa" che risiede nell'universalità tipica di una rombante avventura di interesse trasversale.

A sostegno di questa "causa" ci sono scelte stilistiche molto chiare.

L'impostazione della narrazione come una sorta di "diario postumo" scritto in prima persona dal protagonista in un momento chiaramente successivo agli avvenimenti che egli vive, infonde al racconto una grande lucidità nella disposizione degli elementi sia decorativi che sostanziali in modo da fornire al lettore un quadro pressocchè inalterato di quanto accaduto dove non c'è spazio per flashback, divagazioni oniriche o spin-off concentrati su altri personaggi condizionati da fatti controversi (l'iniziale puntata nella città di Derry è un esempio di quanto si poteva ricavare lavorando di più in tale direzione).
Eppure King di frecce al suo arco ne aveva diverse, da questo punto di vista.
Si pensi soprattutto alla figura di Lee Oswald  e delle persone a lui legate : la loro ovvia importanza è relegata alla sbobinatura di alcuni dialoghi domestici e poco altro. O alla figura - tipica del King più maligno - de "l'uomo con la tessera gialla" (anch'essa presentata subito nel libro) che troverà spazio e gloria forse soltanto quando l'autore si è accorto di averne ignorato il ruolo (e quando se ne occupa, arrivano pagine da pelle d'oca).

Quindi la scelta stilistica di affidare alla voce diretta di Jake la narrazione degli eventi (era anche accaduto in "Mucchio d'ossa" di trovarsi di fronte a una Prima Persona, ma era l'atmosfera del racconto che grondando terrore dalla prima all'ultima pagina condizionava il modo e lo spessore di raccontare del protagonista) che soprattutto nella seconda metà del lavoro assume le sfumature di una cronaca senza chissà quali trovate stilistiche raffinate o slanci deflagranti (qui non posso dir nulla su alcune eccezioni che risollevano in parte la qualità), condiziona l'andamento del libro che sì convince per il tessuto di fondo e la scintilla iniziale che ne ha oleato e condizionato i meccanismi, ma lascia un pò perplessi per la stesura, la scrittura e lo sviluppo che ha molti caratteri di quell'ordinarietà da mestierante che finisce per corrompere quasi tutti gli scrittori di bestseller (ammesso che qualcuno abbia avuto un passato di più alto valore).
Come se King (del resto accade da tanti anni) sia stato più attento a non ferire o urtare la sensibilità del suo ampio bacino d'utenza piuttosto che affondare i colpi necessari quando ne aveva l'opportunità attraverso un ricorso più massiccio alle tinte fosche e "malate" che ne hanno reso immortale l'opera. Cioè anche quando è il momento di presentare o rendere l'idea dell'operato di un personaggio che è palesemente disturbato dal punto di vista mentale, King sceglie di tratteggiarne i caratteri essenziali senza scavare eccessivamente nella psiche del soggetto perchè ciò comporterebbe lo sconfinare in quell'aspetto psicotico e deviato della natura umana che ha fatto la fortuna dei suoi romanzi più risoluti e che a quanto pare oggi non sono più di moda.

Ed è senz'altro interessante notare come lui, forse cosciente di questa metamorfosi che ha colpito il suo stile e le sue storie (sarà l'età ? sarà la bontà di avere dei nipotini a cui badare ? pressioni della sua casa editrice ? un editor potente ? addirittura un ghost writer, come si ipotizza da più parti ?) qui e la puntelli la narrazione con dei colpettini estremi appena abbozzati evitando il cut come nei film censurati, quasi a voler ricordare come detto qualche riga più su che il vero Re è sempre il sovrintendente supremo alle opere di quello che è un affermato produttore di bestseller e non è detto che prima o poi perda le staffe e torni a dettare le sue regole.

"22/11/63" è, dunque, un affidabile viaggio nel tempo.
Assistito da una scrittura molto pulita e da una importante quantità di avvenimenti disegnati da un impianto narrativo estremamente semplificato, riesce a tenere in costante punta di piedi l'attenzione del lettore, anche grazie al ricorso (costante) all'anticipazione : ovvero quell'espediente usato dal narratore per mettere in pre-allarme il lettore su qualcosa che da li a poco accadrà. E ci riesce.

L'altra faccia della medaglia è la mancanza di profondità, la non eccellente qualità dei dialoghi (spesso molto brevi e formali) e quella costante sensazione di freno a mano tirato che si manifesta nella palese linearità della trama.
Tuttavia va riconosciuto a Stephen King di non aver perso con gli anni la capacità ad ogni nuovo libro di esplorare universi ed aspetti della realtà comunque differenti, analizzando ed osservando microcosmi sempre eterogenei, senza fossilizzarsi su stereotipi e filoni abusati già da se e da altri.
Certo, i personaggi dei suoi romanzi sono uomini comuni (quasi sempre sono scrittori, insegnanti o artisti) ma le situazioni che pone di fronte a loro, variano con soddisfacente celerità nelle ampie sfere sia dell'ordinario che dello straordinario, sfere destinate, comunque, a confondersi. Talvolta le idee sono fulminanti, talvolta sono timide. Ma nessuno, del resto, conosce la formula del romanzo perfetto.

Non è leale, in ultima analisi, aspettarsi che King scriva ancora come negli anni 70 e 80 anche perchè, come lui ha reso brillantemente noto nella sua autobiografia di scrittore "On writing" (breve, concisa, ironica e sincera. RECUPERATELA), molte delle sue opere sono state concepite in situazioni personali ed ambientali molto particolari dove la precarietà economica che lo costringeva a vivere anche in una roulotte e l'abuso costante di alcol-farmaci-droghe, pesavano molto nell'economia delle sue idee. Magari la ferocia di alcuni suoi celebri personaggi e/o entità, era resa in modo così vivido e pulsante proprio in risposta all'esigenza di sfogare su pagina le delusioni e le sofferenze derivate dalla sua condizione di uomo.

Oggi il Re ha senz'altro un'età (e, non facciamo gli ipocriti,  anche un conto in banca) dove l'urgenza artistica  e il metodo scrittorio che da essa deriva, hanno assunto le sembianze di un caminetto illuminato da un fuoco leggero ma costante, anzichè quelle di un falò ardente che lancia lingue di fuoco ampie come fulmini.
Se viene concesso a grandi rock band del passato come Rolling Stones  o quelle che stanno per diventare del passato come gli U2, di continuare a proporsi al pubblico con materiale inedito palesemente privo dell'elettricità e dell'inventiva tipica degli esordi non si deve gridare allo scandalo se uno scrittore con alle spalle decine e decine di libri di grande successo scelga nella seconda (o forse terza?) fase della sua carriera di approcciarsi a storie dai contorni più levigati, meno spigolose e più politically correct che in passato.
In parole povere, anche gli artisti invecchiano, maturano, fanno delle scelte. E si deve scegliere se rispettarle o vivere nel ricordo di quanto è stato.
Del resto non c'è nessuna legge che obbliga una persona a pagare quasi 25 euro per il nuovo libro di King. Anche se, a pensarci bene, forse sarebbe una delle poche tasse (magari l'unica) in grado di impoverire e allo stesso tempo arricchire il contribuente.
Io, questa tassa, ho scelto di pagarla.

Nessun commento: