giovedì 26 gennaio 2012

dischi - Colapesce "Un meraviglioso declino" (2012)


GENERE E VOTO : cantautorato pop-rock ; 8/10



Il tempo ci dirà dove arriverà questo disco, le vendite, il consenso popolare, il passaparola sui concerti.
Ma se parliamo di adesso, del concreto, allora dobbiamo prendere atto che l'artista siciliano ha dato alle stampe uno fra i più convincenti esordi su lunga distanza in lingua italiana degli ultimi anni.

Un disco scritto con classe, suonato, prodotto in modo eccellente e cantanto con garbo.

Il dipanarsi strumentale cadenzato di "Restiamo in casa" porta alla mente per un tratto gli Shins nell'ultimo
minuto di "Phantom Limb", nel mezzo un fantastico sussurro che si apre come in preda all'insofferenza.
Ed è questo uno dei canovacci che guidano il disco. La malinconia che si esprime con un vocabolario che
contiene parole nostalgiche talvolta intrise di una sottile ironia. Il rimpianto ed un pizzico di disillusione, nel sottofondo.

Musicalmente l'album nel complesso è realizzato preferendo arrangiamenti classici,semplici. Utili sempre e comunque a mettere in risalto e non soffocare le idee.
"La zona rossa" è un esempio. Un allegretto pop con sottofondo acustico impreziosito da un bel riff che stacca sul canto, poi uniti in un ritornello arricchito dagli archi.
Nessun passaggio è banale, le soluzioni continuamente equilibrate, come in "Un giorno di festa" (forse una
canzone davvero perfetta) dove l'alternanza sintetico-reale è appassionante, teso, elettrico e risolutore.
"Oasi" replica questo successo, ottima la progressiva aggiunta di effetti nel finale.
Per essere un disco di cantautorato che nell'intenzione dovrebbe essere pop, taluni lampi elettrici lo rendono gustoso e smaliziato anche sotto ottiche differenti (in "Sottotitoli" fa capolino l'aura del Manuel Agnelliin coppia con Mina).

La varietà di registri non riconduce a fonti d'ispirazioni cristalline, tantopiù il canto che ha il pregio di non sopraffare mai la costruzione delle canzoni ma di mantenersi sempre sottotraccia (l'ultimo Battisti, palese
in "Quando tutto diventò blu"), aumentando così il mood evocativo delle composizioni che lanciano generalmente più di uno sguardo agli anni 70 ("Le foglie appese").

Il livello dei testi probabilmente non è costante, ma il gioco di figure retoriche, immagini reali e nonsense
sono intepretate per assecondare il costrutto strumentale e non per dominarlo (come magari riesce a fare Dario Brunori).
Probabilmente collocabile nelle ritmiche e associazione voce-base dalle parti di Dente con la sensibilità del primo Benvegnù solista, Colapesce svetta semplicemente perchè ha in dote un altissimo numero di pezzi davvero ottimi e alle spalle di questi un corposo sound suonato e registrato ad alti livelli.
E anche quando il sound è ridotto ad una sola chitarra e qualche arco, ("La distruzione di un amore"), il
risultato è allo stesso livello, se non superiore, al resto del disco cui magari avrebbe giovato avere un paio
di canzoni in meno in scaletta.


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